27 dicembre 2009

La strada

Ovvero The Road di Cormac McCarthy.

The Road è il romanzo più recente del non certo prolifico autore americano. Pubblicato in America nel 2006, nel 2007 ha vinto un meritatissimo premio Pulitzer per la letteratura.
E sì, meritatissimo perché in effetti The Road è un libro splendido. Ambientato in quello che dovrebbe essere ciò che rimane degli Stati Uniti dopo una non meglio specificata catastrofe che ha spazzato via buona parte dell'umanità e tutti gli animali, i protagonisti sono un padre e un figlio senza nome e la loro lotta continua per sopravvivere contro fame e freddo perenni e la minaccia rappresentata dai pochi altri sopravvissuti. Nel tentativo di sfuggire all'inverno incombente, il libro racconta del loro viaggio verso le coste del sud verso un clima più mite.

La trama è appena accennata e McCarthy ci butta nel mezzo del viaggio dei due e sta a noi mettere insieme piano piano i pezzi della storia, solo per renderci conto che non c'è niente del genere. The Road è più l'affresco di una relazione tra un padre e un figlio che cercano rimanere in vita e di conservare quel poco di umano che è rimasto in loro, l'orrore e la disperazione della vita di tutti giorni in condizioni simili.
Lo stile essenziale e minimalista della narrazione ben si adatta alle vicende raccontate, ma rendono anche la lettura del libro faticosa e impervia, così come lo è il cammino dei due protagonisti.

The Road è un libro importante per l'argomento trattato e per come lo tratta. Molti ci troveranno a ragione una visione di uno dei possibili futuri del mondo, altri saranno coinvolti dallo struggente rapporto tra padre e figlio, oppure saranno inorriditi dalle loro condizioni di vita.
Quale che sia l'aspetto che colpisce maggiormente, non c'è dubbio che The Road sia uno di quei libri che merita senza ombra di dubbio alcuno di essere letto. È uno di quei libri.

20 dicembre 2009

Go Speed Racer, Go Speed Racer Go!

Il modo migliore per capire che genere di film è Speed Racer è ascoltare la canzone che accompagna i titoli di coda.

La deriva cazzara dei fratelli Wachowski iniziata con la trilogia di The Matrix continua in questo Speed Racer, ispirato al cartone animato giapponese che in Italia si chiamava, se la memoria non mi inganna, Mach 5 e che tra parentesi a me piaceva un sacco. Però, a differenza di The Matrix (in particolare gli ultimi due), i Wachowski hanno la buona creanza di non prendersi mai sul serio in Speed Racer, quindi tutte la assurdità, le esagerazioni e i pessimi dialoghi che ci rifilano strappano più di un sorriso, voluto o non che sia.
Speed Racer è un tripudio di colori e immagini ultradinamiche con una storia che più debole e insulsa non si può, ma alla fine chi se ne fotte, è talmente sopra le righe e cinetico dal punto di vista visivo che il resto passa totalmente in secondo piano. Le gare, tutte rigorosamente realizzate in ottima grafica computerizzata, sono quasi perfette nella coreografia e nella realizzazione tecnica e lasciano davvero a bocca aperta.

Non entrerà mai nella storia del cinema, ma a me Speed Racer ha fatto divertire come un bambino. A 1080p su un plasma da 42" poi è davvero uno spettacolo per gli occhi.

18 dicembre 2009

A caccia di demoni

"Porca puttana, sono morto." "Oh cribbio, 'sto mostro che fa?" "Ecco, sono morto di nuovo." "Madonna, quanto è grosso questo! [SPLAT]"

Ecco, questo è solo un piccolo campionario delle esclamazioni che si pronunciano giocando a Demon's Souls, gioco esclusivo per PlayStation 3, sviluppato da From Software, pubblicato in America da Atlus e per il quale ancora manca una data di uscita europea, ma dato che la PS3 non ha blocchi territoriali per i giochi, si può tranquillamente giocare con la versione yankee.

Demon's Souls è un GdR d'azione che per molti versi può essere considerato un Dungeon Crawler. Si crea un personaggio, si guadagnano anime uccidendo i vari nemici e poi le si usa per guadagnare livelli e diventare più potenti. Niente di nuovo fin qui.
Il mondo di DS è suddiviso in cinque aree principali divise a loro volta altre sotto-zone, accessibili in sequenza dopo aver eliminato il boss alla fine di ognuna di esse. La particolarità di Demon's Souls risiede nella non linearità dello sviluppo del gioco: l'unica tappa obbligata è il primo livello, dopo di che si può scegliere quale delle altre aree affrontare. E come ogni buon Dungeon Crawler che si rispetti, si può tornare quante volte si vuole in ogni area per uccidere mostri a ripetizione per ottenere anime, oggetti e quant'altro.

L'altra particolarità di DS è rappresentata dalla sua difficoltà. Va detto che non è così difficile come si legge in giro, ma è sicuramente più impegnativo della media dei giochi attuali. I combattimenti sono sempre impegnativi e il rischio di morire per una disattenzione è sempre presente, ma non è per niente un gioco "impossibile". Personalmente ho trovato più difficili i Ninja Gaiden, per dire. Quello che rende DS ai limiti del sado-masochismo videoludico è il fatto che morendo si perdono tutte le anime che si avevano con sé in quel momento e l'unico modo per recuperarle è tornare sul luogo della nostra dipartita e toccare la nostra macchia di sangue. Peccato che morendo saremo trasportati all'inizio del livello e che rinasceranno TUTTI i mostri del livello, incluso quello che ci ha segato pochi istanti prima, e che le anime saranno perse definitivamente se moriremo prima di raggiungere la nostra macchia di sangue.

In DS è implementata anche una particolare funzione online. Nel nostro mondo vedremo macchie di sangue che, se cliccate, ci mostrano come è morto il povero giocatore in quel punto, ottimo modo per sapere cosa ci aspetta più avanti. Giocando si vedono anche delle sagome ectoplasmiche di giocatori che sono nel nostro stesso livello. L'interazione tra i giocatori avviene attraverso dei messaggi di aiuto che è possibile lasciare in qualunque punto dei livelli. Se si è in forma corporea (ah già, se si muore si diventa un'anima e per resuscitare bisogna uccidere un boss o usare una pietra apposita) si può invocare altri due giocatori in forma di fantasmi blu nel nostro mondo per farci aiutare, ma contemporaneamente il nostro mondo potrà essere invaso da un giocatore, sotto forma di fantasma nero, che tenterà di ucciderci per appropriarsi delle nostre anime.

Demon's Souls è un gioco vecchio stile per molti aspetti: è difficile, complicato, con meccaniche di gioco e segreti oscuri, ma che è anche in grado di regalare ore e ore di divertimento grazie a un sistema di combattimento semplice, ma efficace, a una lunga lista di armi ed equipaggiamento assortito da collezionare e un'atmosfera splendida. DS è senza dubbio uno dei giochi migliori di questa generazione di console, ma potrebbe risultare ostico a molti. Tutti gli altri si ritroveranno tra le mani una piccola gemma che merita di essere provata.

15 dicembre 2009

Le pulizie di primavera

Che Amy Adams sia adorabile lo sappiamo tutti (lo sapevate che è nata ad Aviano in Italia?), però è sempre bello averne la conferma.

In Sunshine Cleaning interpreta Rose Lorkowski, una ex capo delle cheerleader ai tempi della scuola superiore, ora ridotta a fare le pulizie in casa di famiglie abbienti, crescere da sola il figlio di circa 10 anni e ad avere una relazione con il suo ex del tempo, ora sposato con un'altra. Proprio grazie a lui, Rose, in urgente bisogno di soldi per pagare la scuola privata per il problematico figlio, apre un'attività di pulizia di scene di crimini e suicidi in società con la scapestrata sorella minore Norah, interpretata dall'attrice inglese Emily Blunt.
Questo lavoro inusuale fa da sfondo a una commedia che parla di una famiglia segnata profondamente dal suicidio della madre avvenuto anni prima e per certi versi è simile a Little Miss Sunshine, con il quale condivide la presenza dell'ottimo Alan Arkin, in cui i protagonisti ritrovano pian piano se stessi e l'armonia familiare. Sunshine Cleaning funziona e racconta una bella storia, grazie anche alle ottime interpretazioni delle due protagoniste che riescono a ricreare in maniera convincente la relazione tra le due sorelle. I dialoghi sono piacevoli e frizzanti e ogni tanto regalano delle piccole gemme che rimangono impresse nella nostra memoria.
Anche se la trama di Sunshine Cleaning non è particolarmente originale, il lavoro di Rose e i bei personaggi fanno di questo film una di quelle commedie che si lasciano con estremo piacere e che lasciano una bella sensazione dentro di noi alla fine.

11 dicembre 2009

Let The Right One In

Ora, non ricordo di preciso quando ho letto Let The Right One In, ma visto che mi è piaciuto tanto, mi sembra un peccato non scriverne... Sperando di non averlo già fatto.

Comunque, dicevo. Let The Right One In è un libro del 2004 scritto dallo svedese John Ajvide Lindqvist. È ambientato a Blackeberg, un sobborgo proletario della Stoccolma dei primi anni '80, e i protagonisti sono Oskar, un dodicenne figlio di divorziati che vive con la madre ed è vittima delle angherie costanti dei bulli a scuola, ed Eli, una bambina dall'aspetto e dalle abitudini bizzarre che si trasferisce nell'appartamento a fianco a quello del ragazzino. Ovviamente, gli strani orari notturni di Eli e la sua immunità totale al freddo inverno svedese nascondono un segreto, ma ciò non impedirà ai due ragazzini di sviluppare una profonda amicizia.

LTROI (di riscrevere tutto il titolo non avevo voglia) può essere catalogato come appartenente al genere horror, del resto c'entrano i vampiri e alcuni passaggi sono decisamente cruenti, ma è tanto, tanto di più. Descrive anche le condizioni sociali di Blackeberg in quegli anni, con tutti i protagonisti afflitti da problemi come alcolismo, deliquenza giovanile o consumo di droghe. È un libro che mette a disagio per molti versi, ma è anche la splendida, toccante storia di due solitudini diversissime che si incontrano e che scoprono di avere tanto in comune nonostante le loro differenze enormi, il tutto evitando accuratamente tutti i cliché triti e ritriti sui vampiri che ci rifilano continuamente. Uno dei libri più belli che ho letto negli ultimi tempi, senza ombra di dubbio.

Da LTROI è stato tratto anche un film, anch'esso di produzione svedese, sceneggiato dall'autore del libro. Se dovessi paragonarlo al libro, direi che mi è piaciuto meno, purtroppo la forza della relazione tra Eli e Oskar non è trasmessa con la stessa intensità, ma rimane un film bellissimo che cattura con maestria l'essenza del libro.

6 dicembre 2009

Miami Vice

Penso che io e giopep abbiamo molte cose in comune, tra cui una passione, forse oltre il dovuto, per Michael Mann. Forse giopep sbrodola un po' più di me quando vede uno dei suoi film, ma devo ammettere che anch'io faccio fatica a non esaltarmi davanti a una pellicola di Mann.

Perché succede? Boh, e chi lo sa. So di sicuro che pochi registi riescono a catturare la mia attenzione in maniera così totale come fa Mann, nonostante i suoi film tendano generalmente a durare più di due ore. Ma sono sempre due ore che volano grazie a una fotografia sempre splendida e a una costruzione delle scene spettacolare. Adoro come cazzo usa quelle telecamere a spalla, sulla sparatoria finale di Miami Vice ce l'avevo un po' barzotto, lo confesso.

E Miami Vice com'è? Beh, è un film di Mann. Punto e basta.

5 dicembre 2009

The Squid and the Whale

Se non avessi saputo fin dall'inizio che il regista di questa commedia è di Noah Baumbach, avrei potuto tranquillamente scambiarla per un film di Wes Anderson, che non a caso è uno dei produttori.

The Squid and the Whale è una commedia con un umorismo agrodolce che narra le vicende di una famiglia che va pian piano disintegrandosi. Il padre, interpretato da Jeff Daniels, è uno scrittore con un passato di successo, ma che ora è ridotto a fare l'insegnante e non riesce ad accettare la propria situazione attuale; la madre, Laura Linney, sta invece diventando famosa proprio con la scrittura, e la cosa causa attrito con il marito (oltre ad altri non trascurabili problemi). Nel mezzo ci sono i due figli, con il più grande, interpretato dall'ottimo Jesse Eisenberg di Zombieland, che vive in adorazione del padre e cerca il suo scampolo di successo, mentre il più piccolo deve fare i conti con i primi istinti sessuali e un principio di alcolismo.

Sebbene il regista sostenga che il film sia solo semi-autobiografico, The Squid and the Whale è un bellissimo affresco familiare, con tutti i pregi e difetti che una famiglia reale può avere. Non ha una trama vera e propria, ma ci accompagna e ci va vivere quello che per molti versi potrebbe essere considerato un dramma, spesso presentato con una azzeccatissima vena umoristica che stempera i toni della vicenda. Ricorda per molti versi The Royal Tenenbaums e The Darjeeling Limited, con i suoi protagonisti un po' particolari e la cadenza dei ritmi narrativi.

I 90 minuti scarsi di The Squid and the Whale sono piacevolissimi e Baumbach riesce a farci sorridere con una punta di amarezza mentre osserviamo i piccoli drammi della famiglia Berkman, per di più accompagnati da un'ottima colonna sonora.

28 novembre 2009

Lust, Caution

Era un po' che volevo vederlo, questo film di Ang Lee che ha vinto tra gli altri il Leone d'Oro al festival del cinema di Venezia del 2007, ma avevo anche paura di ritrovarmi davanti a un mattone che mi avrebbe annoiato a morte. È basato sull'omonimo libro di Eileen Chang.
Fortunatamente non è stato così, dato che Lust, Caution è sì un film lungo e impegnativo, ma è anche un melodrammone con i controattributi, con una fotografia splendida e una gusto cinematografico raffinatissimo. Del resto si sta parlando di Ang Lee, non del primo registucolo da quattro soldi preso per strada.

Il film è ambientato in Cina a cavallo della fine degli anni '30 e l'inizio degli anni '40 e la protagonista del film è Wong Chia Chi, interpretata dalla bravissima esordiente Wei Tang, una giovane che finisce quasi per caso coinvolta nella resistenza cinese contro l'invasione e l'occupazione giapponese. Tutta la vicenda ruota attorno ai suoi tentativi di irretire un importante rappresentante del governo collaborazionista cinese, interpretato dall'ottimo Tony Leung, con il fine ultimo di ucciderlo, ma ci si metteranno di mezzo i sentimenti e le cose non andranno esattamente come previsto.

Lust, Caution racconta una storia molto classica, ma lo fa con coivolgimento emotivo e con una messa in scena sontuosa. È una storia d'amore in fondo, ma non solo: è un affresco storico, con la Cina del tempo riprodotta con attenzione maniacale e ci fa conoscere un mondo che per molti di noi è del tutto sconosciuto. I
due protagonisti sono tratteggiati con grande profondità, così come la loro relazione che cresce di intensità, un'intensità che culmina con le scene di sesso che per una volta non sono nudità gratuite, ma sono integrate alla perfezione nella narrazione e simboleggiano il rapporto esistente tra i due protagonisti.

Insomma, Lust, Caution è uno di quei classici filmoni che ti fanno pensare quanto è bello il cinema quando fa così, quando racconta storie classiche che non passano mai di moda e dipinge un mondo che ci sembra reale da quanto perfettamente è riprodotto.

22 novembre 2009

Il re degli sfigati

Ovvero King Dork, scritto da Frank Portman. Gli appassionati di musica avranno sicuramente riconosciuto questo nome, dato che non è altri che Dr. Frank, il leader dei Mr. T Experience.

Il protagonista di King Dork è Tom, un adolescente agli occhi dei suoi coetanei un po' sfigato, con un solo amico, che è anche l'unico altro membro della sua band, un'incapacità monumentale di rapportarsi con l'altro sesso, una madre e un patrigno cresciuti nel mito di "The Catcher In The Rye" ("Il giovane Holden" in italiano), una sorella insopportabile, un padre morto quando lui era piccolo e tutti i problemi classici di un adolescente moderno.
Proprio The Catcher In The Rye, la copia annotata di proprietà del padre di Tom per la precisione, darà inizio a una serie di eventi che cambieranno la sua vita, lo porteranno a conoscere meglio suo padre di cui non sa praticamente niente e, inaspettatemente, gli riveleranno il segreto di come fare colpo su ragazze, per citare il libro, "semi-fighe".

King Dork è una lettura piacevolissima, che riporta al tempo della nostra vita in cui tutto sembrava così tremendamente difficile, ma anche molto più semplice. Ricorda le prime cotte, le prime esperienze sessuali, sia quelle vere che quelle che eravamo convinti che lo fossero, i meccanismi di accettazione e rifiuto tra coetanei, le difficoltà di rapportarsi con gli adulti e i nostri genitori. Ci sono passi che fanno ridere di gusto ad alta voce, anche quando vi trovate su un treno inglese e attirate gli sguardi straniti degli altri passeggeri, e ce ne sono altri che fanno riflettere. È uno splendido affresco della vita dei licei americani che, per citare il libro, sono "the penalty for transgressions yet to be specified."
È un bellissimo libro, che sorprende e appassiona perché è divertente, ma soprattutto perché è racconta una storia reale e non artefatta.

17 novembre 2009

Il quadernetto della morte

Dopo più di un anno dall'acquisto del primo volume, ho recentemente finito Death Note, manga scritto da Tsugumi Ohba e disegnato da Takeshi Obata.
Per chi non lo sapesse, i 12 lunghi volumi narrano le vicende di Light Yagami, un ragazzo dall'intelligenza fuori dal comune, che trova il quaderno di uno shinigami, un dio della morte dall'aspetto decisamente inquietante. Questo quaderno ha la particolarità di uccidere qualsiasi persona il cui nome venga scritto sulle sue pagine, esattamente nella modalità e alla data specificata e in mancanza delle quali morirà semplicemente di attacco di cuore dopo quaranta secondi. Light decide di arrogarsi il diritto di punire tutti i malvagi con il fine ultimo di rendere il mondo un posto migliore e, già che c'è, diventare una specie di dio in terra. A questo suo piano si opporrà L, un enigmatico e geniale investigatore che cercherà in tutti i modi di incastrarlo.

È una storia molto complessa, quella raccontata da Ohba, fin troppo mi verrebbe da dire, che sì affascina per l'ingegno e la logica sfoggiata nei lunghi e intensi dialoghi, ma che esagera anche con la ricerca disperata della trovata a effetto in tutte le occasioni. Con l'avanzare della narrazione, la vicenda si sfilaccia e perde attrattiva, e il tutto prende un tono fin troppo prolisso. Sono arrivato in fondo più per la curiosità di vedere come sarebbe andata a finire che per un reale interesse nelle vicende dei protagonisti.

Avevo sentito un gran bene di questo Death Note, ma alla fine mi ha leggermente deluso. Parte bene, ma Ohba ha tirato le cose troppo per lunghe. Peccato.

Per la cronaca, da questo fumetto sono stati tratti anche una serie animata e un film con attori in carne e ossa che penso mi guarderò bene dal vedere.

16 novembre 2009

The Devil's Rejects

Ho sempre evitato di guardare The Devil's Rejects, convinto che fosse un film d'orrore, genere che io che sono una mammoletta non adoro particolarmente, ma alla fine ho vinto la mia paura e mi sono deciso a vederlo. E ho così scoperto che The Devil's Rejects non è per niente un film d'orrore.

Ma che cos'è se non è film deppaura? Beh, tanto per cominciare è un film della madonna, scritto e recitato splendidamente, con un ritmo incalzante e uno svolgimento mai banale. È un western moderno, che si ispira ai classici del passato (in senso di ambientazione e di data di realizzazione) e li ripropone in un'ambientazione quasi contemporanea, visto che si svolge alla fine degli anni '70.

Si apre e si chiude con due scene meravigliose, crude e violente, e nel mezzo c'è una storia sul Bene e sul Male inquietante e disturbante. Il regista Rob Zombie cerca in tutti i modi di mettere a disagio lo spettatore, prima con scene di violenza gratuita ed esplicita, e poi portandolo a provare pietà e compassione per dei protagonisti brutti e veramente cattivi e disprezzo e fastidio per il cavaliere della giustizia. E come se non bastasse, è accompagnato da una colonna sonora strabiliante.

The Devil's Rejects nasconde continuamente la linea che divide il Bene dal Male e ci lascia spaesati e a disagio, non prima di averci picchiato forte allo stomaco, ripetutamente e senza remore di sorta.

13 novembre 2009

Coraline

Finalmente sono riuscito a vedere anch'io Coraline, recuperato in blu-ray grazie al servizio di affitto film al quale sono abbonato.

Ed è stato un gran bel pezzo di recupero, perché Coraline è un film adorabile, visivamente accattivante grazie a uno stile creativo e fantasioso che non risulta mai pesante nemmeno nei momenti più intensi, grazie a una storia classica che funziona perfettamente (che mi anche ricordato Spirited Away di Miyazaki per certi versi) e grazie a un doppiaggio spettacolare tra cui spiccano quello di Dakota Fanning per la protagonista, quello di Teri Hatcher per la mamma/altra mamma e un Ian Macshane che dà il bianco come al solito nonostante sia relegato a doppiare un comprimario.

Non ho mai letto il libro omonimo di Neil Gaiman dal quale è tratto il film, quindi non posso fare paragoni, ma non c'è problema perché non sono un tipo che sta a menarsela con discorsi sull'adattamento e cose del genere. Coraline è un gran bel film che regala magia vera grazie alla splendida realizzazione in stop-motion e che merita di essere visto solo per accorgersi quanto sia ancora attuale una tecnica di animazione così "antica".

28 ottobre 2009

Mr. Fox, Fantastic Mr. Fox

Wes Anderson è un regista che ci sa decisamente fare. Tutti parlano un gran bene di The Royal Tenenbaums, che prometto che vedrò al più presto, e The Darjeeling Limited, di cui ho già parlato brevemente su questo blog, è una piccola gemma di cinematografia.

È per questo che avevo grandi aspettative per il suo lavoro più recente, Fantastic Mr. Fox, una commedia basata sul libro omonimo di Roald Dahl e interamente realizzata con la tecnica dello stop-motion che ha come protagonista una volpe, doppiata dal mai troppo lodato George Clooney, che dopo aver messo la testa a posto per anni per il bene della sua famiglia, torna al suo lavoro preferito: rapinare le fattorie altrui. Questa sua decisione lo porterà ad affrontare tre fattori che saranno tutt'altro che felici delle sue incursioni e questo causerà un inevitabile scontro frontale.

Il film ha uno stile visivo impressionante, mi sono accorto più di una volta che lo stavo guardando a bocca aperta con una faccia sognante. Il lavoro fatto sulle animazioni e sulla realizzazione estetica è davvero encomiabile e vale da solo il prezzo del biglietto. A questo si aggiunge una colonna sonora davvero ispirata che azzecca sempre il pezzo giusto al momento giusto.
E il film vero e proprio? Beh, lo ammetto, non è bello quanto mi aspettavo e speravo. È sicuramente un lavoro di qualità, e mi è anche piaciuto, ma non riesce a decollare del tutto. Presi uno a uno, gli elementi che lo compongono sono ottimi, ma il risultato della loro somma non rispecchia il loro valore. Forse è a causa del doppiaggio che, Clooney a parte, ho trovato un po' sottotono, o forse è colpa di un Clooney così strabordantemente bravo che gli altri risultano meno ispirati.

Rimane comunque il fatto che Fantastic Mr. Fox offre momenti di rara bellezza e puro intrattenimento e una trasposizione a schermo quasi perfetta di un libro per bambini, messaggio morale e lezioni di vita incluse. È un film straconsigliato che però mi ha leggermente insoddisfatto. O forse è colpa delle mie aspettative, così alte che non potevano che andare deluse.

25 ottobre 2009

Nella terra degli zombie

Qui nel Regno Unito è uscito da poco Zombieland, commedia horror/slasher diretta dall'a me sconosciuto Ruben Fleischer e interpretato da Woody Harrelson, Jesse Eisenberg, Emma Stone e Abigail Breslin. Voi poveracci in Italia dovrete aspettare il 2010, febbraio se non ho capito male, per vederlo.

Ambientato in America ai giorni nostri dopo che l'intera nazione, e con molta probabilità anche il resto del mondo, è stata annientata da un virus che ha trasformato la popolazione in zombie famelici, il film narra le storie di quattro improbabili sopravvissuti e della loro ricerca di qualche cosa per la quale valga ancora la pena di vivere. Zombieland mischia con sapienza commedia, horror, slasher, road movie e il risultato è un film che funziona a tutti i livelli. Fa ridere di gusto per le situazioni in cui i protagonisti si ritrovano, assume un tono più serio quando necessario, spaventa e disgusta il giusto quando gli zombie fanno capolino su schermo, ma soprattutto racconta con abilità e ritmo le storie di quattro persone normali alla ricerca di una briciola di normalità in un mondo che di normale non ha più niente.
I protagonisti, seppur piuttosto stereotipati, funzionano e sono tratteggiati in maniera credibile nelle loro piccole e grandi fissazioni, grazie anche alle buone interpretazioni degli attori, con un Woody Harrelson in ottima forma come al solito.

Insomma, Zombieland non sarà ricordato come una tappa fondamentale della storia del cinema, non rivoluziona niente e scopiazza a destra e a manca da film e videogiochi (impossibile non pensare a Left 4 Dead e Dead Rising) simili, ma fa tutto quello che ci si aspetta da un film del genere e lo fa in maniera tremendamente divertente. E poi c'è Bill Murray, che cazzo si può volere di più dalla vita?

20 ottobre 2009

Doppietta giapponese

Come suggerisce il titolo del post, domenica sera ho "consumato" due prodotti di intrattenimento giapponesi.

Uno è un film, Paprika (パプリカ in lingua originale), diretto da Satoshi Kon nel 2006 e basato sull'omonimo romanzo di Yasutaka Tsutsui del 1993. In un futuro prossimo, una società ha sviluppato una tecnica rivoluzionaria di cure psico-analitiche. Al centro di questa rivoluzione si trova il DC Mini, un marchingegno che permette a chi lo utilizza di vedere i sogni delle persone e di esplorare il loro subconscio. Il casino scoppia quando un esemplare di questa macchinetta delle meraviglie viene rubata, con le ovvie e scontate tragiche conseguenze.
La storia è raccontata con efficacia e, pur non essendo particolarmente originale e affrontando temi come lo scontro tra realtà e sogno già visti in passato, riesce a coinvolgere e a risultare comunque interessante. Questo è dovuto anche grazie alla forza dell'immaginario messo a schermo da Kon, soprattutto quando esploriamo i sogni dei vari personaggi. L'estetica del film colpisce per creatività e simbolismo e la forza delle immagini è imponente. Ottima anche la colonna sonora, con un paio di pezzi in particolare davvero degni di nota.
Nonostante trama e temi già noti, Paprika risulta essere un film estremamente godibile grazie a una grande impatto estetico. Insomma, l'è bello bello.

L'altro "prodotto" che ho consumato domenica sera è Out, un libro del 1998 scritto dall'autrice giapponese Natsuo Kirino. Ah, e diciamolo subito, il titolo italiano è... "Le quattro casalinghe di Tokyo"! Peccato che le quattro protagoniste non siano casalinghe, ma vabbè...
Quando l'ho finito la prima cosa che ho pensata è stata "Wow". Sì, perché Out è davvero un libro straordinario. La storia ruota attorno a quattro donne, amiche e colleghe del turno notturno in una fabbrica di bento. Senza rivelare troppo della trama, in seguito a un evento sconvolgente che manda completamente all'aria le loro vite, le quattro donne si ritrovano in un mondo a loro sconosciuto e alieno.
Il ritmo del romanzo è uniforme e freddo, quasi distaccato, come una delle protagoniste, Masako Katori, e il tono della narrazione è dettato dagli eventi raccontati; la maestria e la semplicità con la quale la Kirino danza tra i generi letterari è davvero sorprendente, toccando le condizioni sociali delle donne in Giappone, passando per momenti sanguinosi e truculenti, il tutto condito da tocchi di thriller e giallo qua e là. L'unica cosa che manca forse è il romanticismo, solo accennato in alcuni brevi momenti, ma è comprensibile considerato il tema portante del libro e i suoi protagonisti.
Consigliatomi da un amico, sapevo che Out era un buon libro, ma è davvero andato oltre ogni più rosea aspettativa. Un gran libro che non esito a consigliare a tutti.

14 ottobre 2009

Up!

Dopo tempo immemore, torno finalmente a scrivere qualcosa sul mio blog. E l'occasione non potrebbe migliore, visto che ieri sera ho visto Up, il nuovo film della Pixar. E l'ho visto in 3D, come se non bastasse! Ma andiamo con ordine.

Di raccontare la trama non ne ho granché voglia, quindi mi limiterò a scrivere cosa penso del film. È forse meno commedia dei lavori precedenti, si ride di meno, ma conserva sempre quella magia con la quale Pixar mette a schermo sentimenti ed emozioni, a prescindere dal fatto che di fronte a noi ci sia un vecchietto con gli occhiali o un cane parlante. Ed è proprio grazie a questo che Up conquista, nonostante una storia tutto sommato banale: i sentimenti veicolati sono semplici, ma colpiscono e coinvolgono perché sono comunicati con sincerità e senza traccia di retorica. I primi 10 minuti avrebbero potuto essere tranquillamente la fiera del melenso scontato, e invece si rivelano una toccante sequenza di immagini familiari che non mancano di commuovere. E su questo tono prosegue tutto il film, che non trascina come un The Incredibles o fa sognare come un Wall-E, ma che alla fine dei titoli di coda ti lascia dentro un piacevole tepore, una sensazione di benessere che subito lascia un po' sorpresi, ma che poi si riconduce immeditamente al film appena concluso.
Insomma, Up è un signor film e non tradisce le aspettative. Pixar did it again.

Ora parliamo del 3D. Già, perché persino nella "colourful" Peckham i film vengono trasmessi in 3D. Dimenticate il 3D di 20 anni fa, quello che era semplicemente un giochetto visivo che non aggiungeva nulla al film, e scordatevi quegli occhiali di carta da sfigati. Il 3D di oggi aggiunge letteralmente spessore alla visione del film e non si tratta di oggetti che sembrano colpire lo spettatore, ma di un effetto di profondità mai visto prima. Le prospettive degli oggetti a schermo sono "reali", sembra davvero che ci sia una distanza tra, per esempio, l'albero in primo piano e la casa alle sue spalle, così come sembra davvero di trovarsi davvero a una distesa d'erba o a un deserto. Il nuovo 3D mette davanti ai nostri occhi una nuova rappresentazione della profondità e della prospettiva, la nuova dimensione dona una vera sensazione di solidità. Sembra quasi di trovarsi davanti alla versione aggiornata dei libri con le sagome che uscivano dalle pagine che avevamo da bambini. Ed è un gran bel vedere.

Ah, come al solito, la proiezione del film è stata preceduta da un corto, Partly Cloudy. È bello e carino, ma non è ai livelli di gemme come One Man Band o For The Birds.
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