15 giugno 2011

Memories of Matsuko

Film giapponese del 2006 che ho recuperato in seguito al consiglio di un amico e che, se non sbaglio, non è mai stato distribuito ufficialmente in Italia né al cinema né in DVD.

Memories of Matsuko racconta in flashback la vita di, appunto, Matsuko attraverso i ricordi che suo nipote raccoglie in seguito alla prematura e violenta morte della zia all'età di 51 anni (mi sembra). La donna, sorella del padre del ragazzo, sparì dalla vita della sua famiglia circa 30 anni prima in seguito a una serie di screzi e incomprensioni col padre e da quel momento in poi ebbe una vita movimentata e tragica.

Tratto dall'omonimo romanzo di Muneki Yamada, Memories of Matsuko colpisce soprattutto per la semplicità con cui il regista e sceneggiatore Tetsuya Nakashima riesce a mischiare toni comici e drammatici, passando dall'uno all'altro registro in pochi istanti e senza mai sembrare forzato o pretestuoso. La storia di Matsuko è particolare e decisamente fuori dal comune, ma lo stile narrativo di Nakashima, che mischia tra le altre cose musical con inquadrature e montaggi poco ortodossi, contribuiscono a fare di Memories of Matsuko un film esteticamente e narrativamente fuori dal comune.

Per un'ora e 40 minuti è un film bellissimo, che racconta di una persona che si oppone con tutte le sue forze alla tristezza e alla solitidine che sembrano tornare sempre nella sua vita anche quando le cose vanno bene, anche se magari solo all'apparenza. Peccato che il film duri in realtà due ore e 10 minuti, e anche se quella mezzora in più non arriva a rovinare il film, risulta comunque superflua e inutilmente didascalica. Nonostante questo, Memories of Matsuko è un film che davvero bello che merita di essere visto.

11 giugno 2011

Lista d'attesa

A me piace leggere e continuo a farlo con piacere, anche se da ragazzino lo facevo molto più regolarmente e oggi, tra Internet, socialcosi, serie televisive, videogiochi e mille altre forme di intrattenimento, i libri hanno molta più concorrenza. I tempi di conclusione dei libri si allungano a dismisura, ma arrivo sempre alla loro fine, in un modo o nell'altro.

Il problema, semmai, è la lunga lista di libri acquistati e in attesa di essere letti, perché nonostante abbia rallentato di molto i ritmi di consumo letterario, l'acquisto compulsivo di volumi reali e virtuali (sul mio fidato Kindle) è una pratica a cui non sono ancora riuscito a sottrarmi. I socialcosi poi sono croce e delizia a questo proposito, perché capita spessissimo di leggere i commenti positivi su un libro da parte di qualche utente e, al giorno d'oggi, comprare un volume e vederselo recapitare a casa è una questione di pochi click e pochi istanti. E la mia forza di volontà non può niente al riguardo.

Comincio ad avere talmente tanti libri non letti che forse dovrei iniziare a tenere una lista da qualche parte in cui segno accuratamente tutti quelli che ho in casa e che non ho ancora letto, che alla mia età la memoria non è più quella di una volta e corro il rischio di dimenticare qualcosa (o di comprare più volte lo stesso libro, convinto di non averlo ancora preso...). Poi succede che qualcuno menzioni un libro che hai a casa, se ne parli e la persona finisca per dirti quasi incredula: "Ma come, non lo hai ancora letto?! Cosa aspetti?!".
È proprio quel "Cosa aspetti?!" che mi mette in crisi. Scegliere il prossimo libro da leggere è difficile perché ognuno di essi si è meritato in qualche modo di essere sulla mia libreria o sul mio Kindle. Come faccio a iniziare a cuor leggero A Spot of Bother di Mark Haddon quando so di avere i volumi di The Walking Dead in attesa? E ogni volta che ne scelgo uno, posso quasi sentire lo sguardo di disapprovazione degli altri volumi, che si segnano sul loro libretto nero il mio ennesimo brutto gesto nei loro confronti. Ho paura che prima o poi ne aprirò uno e lo troverò con le pagine completamente bianche, per dispetto di averlo fatto attendere così a lungo.

Non temete, libri e fumetti miei, prima o poi vi leggerò tutti, lo prometto. Ma non mettetemi fretta, per favore.

9 giugno 2011

Made in Dagenham

Ahah, no, dai, sul serio.

Quello qui sopra è il titolo originale di questa commedia inglese del 2010. I distributori italiani, non sapendo come meglio renderlo nella nostra lingua, hanno optato per lo "splendido" We Want Sex, frase che appare fugacemente durante una scena e che ha ben poca importanza nell'economia del film. Scommetto che hanno pensato che mettere "sex" nel titolo avrebbe fatto correre gli spettatori al cinema. Pensare male è brutto, ma spesso ci si azzecca.

Comunque, dicevamo, Made in Dagenham. Nel 1968 la fabbrica di automobili della Ford di Dagenham dava lavoro anche a 167 donne, tutte impiegate nel reparto addetto alla cucitura delle fodere dei sedili delle automobili. In seguito a una disputa sul riconoscimento del loro stato di lavoratrici specializzate rispetto alla loro condizione di semplici operaie generiche, e quindi di avere diritto a una paga superiore, le donne scioperarono per tre settimane di seguito. Tuttavia, lo sciopero assunse una grande rilevanza storica perché mise in discussione la pratica diffusa in tutte le industrie di pagare meno le donne rispetto agli uomini, anche a parità di ruolo e competenze. Quella che cominciò come la semplice protesta di poco meno di 200 donne portò a una vera e propria rivoluzione nel mondo del lavoro che culminò nell'Equal Pay Act del 1970 che proibì definitivamente la disparità di trattamento in termini di paga e condizioni di lavoro tra uomini e donne.

Made in Dagenham è una commedia piacevole che ricalca un po' troppo pedissequamente il canovaccio delle storie di donne che prendono coscienza della loro condizione e delle loro capacità e lottano fino alla conquista di ciò che spetta loro di diritto. Se come film di intrattenimento funziona e ha dei momenti ottimi, grazie anche alle buone interpretazioni del cast, è l'aspetto storico del film a convincere di meno. Le azioni delle protagoniste ebbero un impatto enorme sulle condizioni di lavoro delle donne di tutto il mondo e le loro conquiste diventarono presto patrimonio di tutti i lavoratori. Purtroppo questo messaggio si perde tra le battute e le risate che il film regala ed è un peccato, perché spesso eventi come questo della nostra storia recente non sono raccontati adeguatamente.

3 giugno 2011

Piranha 3D

Tette, culi e sangue. Queste tre parole sono il sottitolo perfetto per Piranha 3D, colossal di serie B che non prova nemmeno per un minuto a prendersi sul serio e a cercare di mettere a schermo qualcosa di diverso da quelle tre paroline magiche che avete letto poco fa.

Oddio, uno straccio di trama la imbastisce pure, ma è talmente improponibile e improbabile che fa ridere solo a pensarci. Basti sapere che c'è un mucchio di piranha incazzati come delle iene (no pun intended) che si ritrova in una zona turistica durante la famosa pausa primaverile delle università americane, il che equivale per i voraci pesci a gambe, petti e braccia in abbondanza in acqua che non aspettano altro di essere sgranocchiati allegramente.

Pirahna 3D fa fondalmente ridere, anche nei momenti più [ROTFL] tragici e tesi, proprio perché gli autori si accontentano di prendere lo spettatore per i fondelli e si aspettano lo stesso identico trattamento da noi. Niente lacrimoni, niente drammi, niente paturnie, il film offre solo centimetri quadrati di pelle e carne umana staccata a brani da pesci famelici, il tutto condito da un sano senso di autoironia. Il grande cinema sta di casa decisamente altrove, ma per poco meno di un'ora e mezza, Piranha diverte in allegria, a patto di non essere troppo schizzinosi e di non soffrire la visione di abbondanti fiotti di sangue.
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