29 gennaio 2010

Apocalypto

Lo ammetto, Mel Gibson non mi è particolarmente simpatico, né come attore, nonostante ne riconosca la discreta bravura, né come persona, nonostante non lo conosca per niente, quindi il fatto che in Apocalypto non appaia per niente su schermo e si limita a fare il regista è solo un bene.

Apocalypto narra la storia di Jaguar Paw, un giovane membro di una pacifica tribù che vive nella giungla dell'America centrale, che viene catturato insieme a tutta la sua tribù da un gruppo di guerrieri Maya a caccia di schiavi e vittimi sacrificali, e del suo tentativo di tornare vivo dalla sua compagna e dal suo bambino.

Apocalypto è difficile da analizzare. Da un lato, dal punto di vista del puro intrattenimento, è un ottimo film di avventura, crudo e violento, che si avvale di una splendida fotografia, impreziosita dalle ambientazioni vere e non riprodotte in grafica computerizzata, città Maya e miniere incluse, e un lavoro su costumi e trucco davvero impressionante. Grazie anche al fatto di essere interamente recitato in quella che immagino essere simile alla lingua del tempo, si riesce a calarsi nelle vicende narrate con estrema facilità e con grande trasporto.

Dall'altro però c'è l'aspetto storico del film, la sua accuratezza nel rappresentare quella che è stata una delle più grandi civiltà del passato, e Apocalypto pecca in superficialità nel mettere su schermo solo le tradizioni violente dei Maya, tralasciando i grandi progressi che avevano compiuto nel campo architettonico, ingegneristico e scientifico. Questi aspetti emergono brevemente durante la scena dei sacrifici umani, ma è una cosa talmente fugace dal lasciare la sensazione che non fosse intenzionale. La frase messa all'inizio del film lascia anche presupporre che il film voglia sottointendere che i Maya siano caduti per colpa loro e non per colpa dei Conquistadores spagnoli.
D'altro canto, c'è chi sostiene che la rappresentazione dei Maya di Apocalypto sia molto fedele alla realtà e che contenga molte similitudini con il modo in cui la società moderna sta sfruttando le risorse naturali e umani del mondo.

Sia come sia, Apocalypto è un film di grande impatto visivo che riesce a intrattenere come ogni buona pellicola di avventura dovrebbe fare e lascia un messaggio su cui riflettere.

27 gennaio 2010

Star Trek

Il film, quello nuovo di J.J. Abrams, per intenderci.

Guardare Star Trek dal punto di visto di uno come me, al quale di Star Trek non è mai fregato molto, è stata una goduria: me lo sono guardato senza le menate che sicuramente avranno attanagliato i vari Trekkie sparsi per il globo, e mi limitavo a notare con piacere le somiglianze tra i protagonisti e i personaggi della serie originale.
Ma è stata una goduria anche, e soprattutto, perché questa reinvenzione di Star Trek è un film divertentissimo, che non ha un pezzo fuori posto con tutto che gira con la precisione di un orologio svizzero: gli attori sono tutti azzeccati, belli e bravi (a parte Simon Pegg che non mi ha convinto molto nei panni di Scott e che non è particolarmente bello), la storia è ottima e fantascientifica il giusto, la narrazione ha un ritmo perfetto che cresce continuamente fino al finale col botto, ha un leggero tocco di umorismo che non guasta mai e una realizzazione visiva semplicemente sontuosa.

Insomma, ad averne di film così, ma del resto J.J. Abrams non è uno qualunque.

22 gennaio 2010

(500) Days of Summer

Come spesso accade, anche in questo caso il titolo italiano del film, "500 giorni insieme", non solo fa perdere il senso di quello originale e il suo giochino di parole, ma dice anche una fesseria visto che i protagonisti non passano 500 giorni insieme. Ma vabbè, ora che mi sono tolto questo sassolino dalla scarpa, parliamo del film.

(500) Days of Summer fa di tutto per farsi detestare, con i suoi protagonisti tanto carini e adorabili, con i suoi comprimari simpatici e dolci, con la sua colonna sonora trendy, ma non troppo, e con la sua aria da commedia romantica alternativa, e in alcuni casi ci riesce anche, ma ha anche un bel modo di raccontare quella che non è, come ci dice il regista all'inizio del film, una storia d'amore, ma una storia sull'amore. La differenza è sottile, ma molto importante, perché quella tra Tom e la Summer del titolo è la storia, raccontata da un punto di vista molto maschile, dell'innamoramento di un ragazzo che non vede nient'altro che la realizzazione del suo sogno d'amore ideale e perde di vista tutto il resto che c'è intorno.
Si potrebbe azzardare che Summer è un po' (tanto) stronza in alcune occasioni (il matrimonio, dio santo, il matrimonio!), ma, come dice una ragazza a Tom in una delle scene cancellate che si trovano tra i bonus del blu-ray, "Did she break your heart or did you break it yourself?".

Quello che avrebbe potuto essere un film insopportabile si è rivelato invece una commedia intelligente e piacevole, condita da un pizzico di cinismo e crudeltà e girata con abilità e con qualche bella trovata. Riesce persino a far sembra Los Angeles una bella città. E poi oh, c'è Zooey.

21 gennaio 2010

The Hurt Locker

Di film di guerra se ne sono visti in abbondanza, fin troppi direbbe qualcuno, ma è naturale se si considera come la guerra sia un elemento costante della vita dell'uomo dalla notte dei tempi. Praticamente ogni guerra del secolo scorso ha avuto film ed eroi cinematografici e The Hurt Locker di Kathryn Bigelow è probabilmente il primo grande film sulla recente guerra in Iraq, quella della "lotta al terrore", delle "armi di distruzione di massa" e altre fesserie che la propaganda di Rumsfeld e compagnia ci hanno rifilato nel corso degli anni, ma sto divagando.
A voler essere precisi, The Hurt Locker è forse più un film di soldati che di guerra, un film che racconta del rapporto quasi perverso che gli uomini in uniforme hanno con il pericolo, combattuti tra l'istinto di autopreservazione e il richiamo irresistibile del brivido del rischio e delle scariche di adrenalina che ne conseguono.

Questa situazione è raccontata attraverso le vicende di tre soldati che fanno parte della squadra di élite addetta al disinnesco di ordigni e bombe sparse per le strade della Baghdad del 2004. Il leader della squadra, interpretato da Jeremy Lenner, porta agli estremi questa ricerca continua del rischio, che per alcuni potrebbe essere eroismo mentre per altri è pura e semplice incoscienza. I suoi due commilitoni si trovano a dover fare i conti con la consapevolezza che il suo comportamento li porta a rischiare la vita in ogni singola occasione, ma anche con il fascino irresistibile del vivere ai limiti.

The Hurt Locker è un film intenso e bellissimo, che cattura dall'inizio alla fine, con un ritmo cadenzato che regala momenti indimenticabili di alta tensione ed emozione. È anche un film ambiguo nella sua rappresentazione della guerra, un film che sembra rappresentare i ribelli iracheni come i "cattivi", ma che lascia anche i soldati americani in chiaroscuro, eroi con molte macchie e molte paure, desiderosi di abbandonare quella vita così rischiosa, ma al contempo incapaci di farne a meno.

17 gennaio 2010

Revolutionary Road

Tratto dall'omonimo romanzo di Richard Yates, che non ho ancora letto, ma mi dicono sia bellissimo, questo film di Sam Mendes dovrebbe recare chiaramente scritto l'avvertimento: "Da evitare in caso lo spettatore si trovi in crisi esistenziali, familiari, lavorative, abbia problemi di coppia e/o stia attraversando un periodo che potrebbe essere definito difficile".

Revolutionary Road è un film splendido, girato con uno stile semplice e quasi asettico che lascia che siano le come al solito ottime interpretazioni di Kate Winslet e Leonardo Di Caprio e raccontarci le emozioni e i sentimenti dei protagonisti. Ambientata nell'America di fine anni '50, la loro è una storia di vita borghese all'apparenza felice, ma che nasconde un'insoddisfazione straziante che, come un tarlo nascosto in un armadio vecchio, logora inesorabilmente i due personaggi e la loro relazione. Persone brillanti e intelligenti, le loro speranze e le ambizioni giovanili sono state rapidamente messe da parte per accomodare le ingombranti consuetudini e necessità della vita familiare. I loro violenti litigi sono carichi di rancori e odi repressi che, come scintille in un bosco secco d'estate, scatenano un incendio che sembra fin da subito fuori controllo. E per quanto provino a cercare di risollevarsi dal baratro di insoddisfazione in cui si sono lasciati cadere, sono incapaci di ritrovare la gioia di vivere.

Ma ciò che colpisce davvero di Revolutionary Road è come una storia così "vecchia" sia ancora oggi perfettamente attuale e sia facilmente trasportabile ai giorni nostri. Yates ha trovato un archetipo che sarà sempre valido fino a quando l'umanità non scoprirà il segreto della felicità eterna.

14 gennaio 2010

Wanted

Guardando il trailer di Wanted è naturale pensare che, come spesso accade, ci abbiano infilato le scene migliori e che resto del film sia una discreta vaccata. Invece tutti i 110 minuti del film di Timur Bekmambetov si rivelano piacevoli oltre ogni più rosea aspettativa. Per la cronaca, è basato sul fumetto scritto dallo scozzese Mark Millar e disegnato da J.G. Jones, ma ne usa solo i personaggi principali e l'ambientazione, mentre la trama è in buona parte diversa.

Quello che sorprende di Wanted è che oltre alla caterva di effetti speciali e di scene d'azione ottimamente coreografate, alla tonnellata e più di pallottole sparate e al culo di una scheletrica Angelina Jolie, c'è anche un protagonista di tutto rispetto come James McAvoy, che riesce ad avere un convincente accento yankee nonostante sia scozzese pure lui e che mette su schermo una versione del Neo di The Matrix senza mai prendersi troppo sul serio, e una trama che appassiona e regala sorprese a sufficienza per mantenere vivo l'interesse dello spettatore fino alla fine. E non guasta nemmeno quel tocco humour nero e di ironia e la narrazione fuori campo del protagonista che fa un po' tanto Fight Club.

8 gennaio 2010

Rudo e Cursi

Dopo l'ottimo Y tu mamá también, il regista Carlos Cuarón torna a lavorare con Gael García Bernal e Diego Luna in un'altra produzione tutta messicana, Rudo y Cursi.

I protagonisti sono due fratelli, braccianti in una piantagione di banane in Messico che vivono in condizioni non propriamente agiate, uno convinto di avere un reale talento per la musica, l'altro con il vizio del gioco d'azzardo. Un giorno, mentre giocano a calcio nella squadra del loro paese, vengono notati dal talent scout Batuta, interpretato dall'ottimo Guillermo Francella, e trasportati di forza dalla loro realtà semplice a quella della grande città e dei soldi facili e degli eccessi del mondo del calcio.

Rudo y Cursi è tante cose, ma è soprattutto la storia dell'affetto e della rivalità di due fratelli, sempre in competizione l'uno con l'altro, ma anche pronti ad aiutarsi quando necessario. È anche una di quelle storie tanto comuni nell'America Latina che usano il calcio come metafora della vita; Cuarón non ci rivela nessuna verità nascosta, ma usa con intelligenza il parallelo tra la vita dei due fratelli e la loro carriera calcistica.
Il film è fondamentalmente una commedia, ma ha anche momenti di riflessione e un inaspettato finale che lascia con il fiato sospeso; niente roba alla The Silence of the Lambs, intendiamoci, ma crea comunque un'ansia inaspettata.

Insomma, Cuarón si conferma un regista di talento con una buona attitudine nel raccontare storie di vita e Rudo y Cursi è un bel film di persone e di pallone.

5 gennaio 2010

Mario e Luigi e Bowser

A volte capita che un gioco riceva lodi un po' ovunque, sia sulla stampa specializzata che nei vari forum sparsi della rete, ma succede anche che a me questi giochi a volte non piacciano. E no, non sto parlando di quella cagata di Eternal Darkness.

Il gioco in questione è Mario & Luigi: Bowser's Inside Story, l'ultimo capitolo della saga nata su GBA che mischia con successo elementi platform a quelli del gioco di ruolo di tradizione giapponese. Il primo su GBA mi era piaciuto un sacco, mentre non ho mai provato il secondo, uscito su DS.
Questo nuovo episodio graficamente è delizioso e dimostra come il DS sia decisamente più a suo agio con gli sprite che con i poligoni. I dialoghi sono spettacolari, ho trovato raramente dei personaggi caratterizzati così bene e così divertenti da leggere (in inglese, non so la versione in italiana). Il sistema di gioco è sempre quello ottimo degli episodi precedenti con poche novità.

Ah, ci ho giocato per poco meno di 10 ore, poi ho dovuto ridare il gioco a mia madre, era il suo.

Che cos'ha quindi questo Bowser's Inside Story che non va? Mah, non saprei dirlo di preciso. Forse la cosa che mi ha dato più fastidio è questo tentativo esasperante di rendere il tutto il più casual possibile con prolissi tutorial per ogni abilità nuova, anche se va detto che possono essere saltati, mentre il gioco in sé è piuttosto complesso e richiede una discreta manualità nonostante l'aspetto pacioccoso. Oppure l'assenza totale di libertà di esplorazione, unita al ciarlare continuo dei personaggi secondari che ci diranno sempre dove andare. Oppure una certa ripetività dei combattimenti nonostante l'ampia lista di abilità disponibili, di cui però si può fare tranquillamente a meno.
Il gioco è obiettivamente carino, il passaggio tra l'interno e l'esterno del corpo di Bowser è una bella trovata che funziona, ma a me le parti nei panni di Bowser non sono piaciute particolarmente. Le cose vanno meglio quando si indossano le salopette dei due idraulici, ma per le prime 10 ore non succede abbastanza spesso.

Quindi boh, il gioco è bello, ma a ma ha annoiato abbastanza. Va' a sapere perché.

3 gennaio 2010

Tutti i binari portano a Hyrule

Regalare a mia madre dei giochi per DS in occasione di Natale ha il vantaggio non secondario di poter approfittare di tale regalo per poterci giocare io. E così in questi giorni di festa mi sono giocato e finito il nuovo Zelda su DS, sottotitolato The Spirit Tracks.

Questo nuovo episodio della famosissima saga di Nintendo è ancora una volta ambientato nell'universo di Phantom Hourglass e The Wind Waker, e ne riprende anche lo stile grafico. Anche la struttura di gioco è la stessa, praticamente identica a quella The Phantom Hourglass: c'è un dungeon centrale da visitare regolarmente per sbloccare una sezione nuova della mappa del mondo, ci sono svariati templi con relativi boss da sconfiggere per ottenere il solito pezzo di potere, c'è la solita moltitudine di oggetti da trovare che permettono di accedere a zone più o meno segrete del gioco, ci sono come sempre minigiochi e aree nascoste dove trovare cuori e altro ancora, c'è un mezzo di trasporto con cui deambulare per il mondo. Fortutanatamente, stavolta gli sviluppatori hanno avuto l'accortezza di eliminare il macroscopico difetto di Phantom Hourglass, vale a dire l'obbligo di riaffrontare dall'inizio il dungeon centrale o a ogni visita: in Spirit Tracks si può andare direttamente al nuovo piano, e i miei martoriati coglioni ringraziano.

Insomma, è il "solito" Zelda, né più né meno, ma riesce comunque a divertire e intrattenere come pochi altri giochi sanno fare. Sarà forse per merito degli enigmi nei dungeon che sorprendono anche dopo tutti questi anni, o forse è grazie all'interazione con il personaggio di Zelda che stavolta ricopre in un ruolo più attivo in alcune fasi di gioco. Va anche però detto che le lunghe fasi a bordo del treno tendono a stancare, anche perché mostrano impietosamente i limiti grafici della console e perché offrono un'interazione tutto sommato limitata, cosa che rende le fasi "sandbox" alla ricerca dei vari bonus segreti una menata non indifferente. Anche le fasi finali non sono brillanti come il resto del gioco, ma è un difetto perdonabile.

The Spirit Tracks è un gran bel gioco che non innova praticamente niente, che ripropone soluzioni già viste in passato insieme a qualche sparuta novità, ma che si lascia giocare con grande piacere fino alla fine. Un gran bel modo di finire il 2009.

Ora la speranza è che nel prossimo gioco Link riuscirà finalmente a limonare con Zelda.
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