27 ottobre 2010

The Ghost

È sempre bello vedere che al mondo ci sono ancora autori in grado di fare thriller convolgenti senza dover per forza tirare fuori improbabili colpi di scena a ripetizione. The Ghost è il film che ne è la prova, diretto da Roman Polanski, co-autore della sceneggiatura insieme a Robert Harris che ha scritto il libro omonimo da cui è tratto il soggetto della pellicola.

L'uomo nell'ombra del titolo italiano, di cui non ci viene nemmeno mai detto il nome, è interpretato da Ewan McGregor e di professione fa il ghost writer, uno di quegli autori che scrivono libri per conto di altre persone che si limitano a mettere il loro nome sulla copertina. In questo caso quella persona è un ex primo ministro del governo britannico, con la faccia di Pierce Brosnan, che vuole pubblicare le sue memorie. Tutto sembrerebbe normale, se non fosse per l'insignificante dettaglio che il predecessore del ghost writer è stato trovato morto affogato qualche giorno prima della sua assunzione, in seguito a quello che le autorità hanno considerato un semplice suicidio.

The Ghost è il classico thriller di sceneggiatura: ha uno svolgimento logico e lineare, non ci sono eventi lasciati inspiegati né dubbi insoluti, i personaggi dicono o fanno sempre cose che è logico aspettarsi da persone reali. Si rifa alla tradizione del genere di Alfred Hitchcock, con una persona comune che si ritrova in una situazione inizialmente normale e che diventa sempre più complicata. Ma non è solo l'ottima sceneggiatura che funziona, The Ghost coinvolge fino all'ultima scena anche perché è girato con da uno che di cinema ne sa a pacchi, che non sbaglia un'inquadratura e sfrutta al meglio l'ottima vena di Ewan McGregor. Impossibile poi non notare le analogie tra l'ex primo ministro Adam Lang e l'ex leader laburista Tony Blair, similitudini che danno al film quel tocco di realismo in più che non guasta.
Dai, anche i dinosauri come Roman Polanski hanno ancora qualcosa da dire.

24 ottobre 2010

Micmacs

Alien: Resurrection a parte, di cui non ho un gran ricordo, fatta eccezione per Wynona Rider, i film di Jean-Pierre Jeunet hanno in comune un'estetica e uno stile particolari e il suo lavoro più recente, Micmacs, non fa eccezione. E così ritroviamo i soliti personaggi bizzarri, con le loro manie e le loro fissazioni; sono persone che faticano, per un motivo o per l'altro, a integrarsi nel mondo della gente "normale", che vivono quasi invisibili ai margini della società, attirati tra di loro come da un'affinità elettiva.
Il gruppo di cui finisce per far parte Bazil, il protagonista di Micmacs, è appunto un gruppo eterogeneo di fenomeni da baraccone, una famiglia atipica che funziona nonostante le sue stranezze. Bazil è a sua volta piuttosto particolare, dopo un'infanzia segnata dalla morte sul lavoro del padre artificiere, la conseguente pazzia della madre e un collegio da cui fugge con un semplice trucco. 30 anni dopo Bazil ha ancora un incontro poco piacevole con le armi, stavolta con un proiettile vagante che si va a conficcare nel suo cervello, senza ucciderlo, ma tenendolo costantemente a rischio di attacchi simil-epilettici e, tanto per gradire, un colpo fulminante.

La storia di Micmacs, la lotta di Bazil contro le due multinazionali che hanno prodotto la mina che ha ucciso suo padre e il proiettile che riposa nella sua testa, è semplice semplice, senza particolari sorprese o colpi di scena. Il valore di Micmacs risiede nell'immaginazione del suo regista, che riesce ad arricchirlo di piccole, grandi trovate narrative e visive che tengono in piedi il film. A me è piaciuto, ma Micmacs non ha la forza di coinvolgere emotivamente come Amélie e se non si gradisce lo stile di Jeunet, forse è meglio lasciar perdere.

16 ottobre 2010

Buried

Un uomo in una scatola di legno sotterrata da qualche parte nel deserto iracheno. E basta. Queste sono le premesse di Buried, diretto e montato dallo spagnolo Rodrigo Cortés, scritto da Chris Sparling e girato con un budget minuscolo, per l'industria cinematogrofica, pari a tre milioni di dollari.
L'uomo nella scatola è Paul Conroy, interpretato da Ryan Reynolds, un autista di camion che lavora in Iraq per una delle tante ditte appaltatrici presenti in Medio Oriente e che si ritrova nella scatola di cui sopra in seguito a un attacco da parte di non meglio precisate forze irachene. Dentro la scatola Conroy trova anche un accendino e un telefono cellulare con il quale comunicare con l'esterno.

Contrariamente a tutte le attese, Buried funziona. Il film è girato interamente all'interno della scatola e Conroy è l'unico di cui vediamo la faccia. Il resto dei personaggi è presente solo come voci che giungono attraverso il cellulare. Molto del merito va sicuramente a un Reynolds che riesce a dare una prova fisica e intensa nonostante lo spazio angusto in cui si ritrova per tutto il film, ma anche la sceneggiatura e il montaggio funzionano, riuscendo a ravvivare l'interesse dopo ogni telefonata. Durante la visione mi aspettavo sempre una caduta di stile, uno sviluppo improbabile o stupido, e invece il film mi ha sorpreso mantenendo una coerenza solida e inattaccabile per tutto la sua durata, con solo un paio di passaggi che mi ho gradito meno del resto.
Da un punto di vista meramente tecnico, Buried è un grandissimo successo, riuscire a rendere interessanti 95 minuti girati all'interno di una scatola non è cosa da tutti, ma funziona anche come film perché crea una forte empatia tra il pubblico e il povero Conroy e un'atmosfera di tensione e claustrofobia costante nonostante, o forse soprattutto grazie a, i pochi elementi narrativi presenti.

11 ottobre 2010

Mesrine

Jacques Mesrine è uno tosto: è belloccio, tira su figa a pacchi senza problemi, ha la parlantina adatta a trarsi d'impaccio in quasi qualsiasi situazione, è capace di farsi rispettare, ha successo sul lavoro. Peccato che come carriera abbia scelto di fare il criminale, specializzato nelle rapine in banca, ma con escursioni nel mondo dei rapimenti e dei furti con scasso, e numerosi omicidi a suo carico. Ah, come se non bastasse, è un personaggio reale.

La sua storia è raccontata in due film, L'instinct de mort e L'ennemi public n°1, il primo dei quali è basato sull'autobiografia che Mesrine scrisse durante uno dei suoi numerosi soggiorni in carcere. Tuttavia, il regista si premura di sottolineare all'inizio di entrambi come ogni film sia un lavoro di finzione e che, in quanto tale, non possa riprodurre fedelmente la complessità della vita umana.

Della durata totale di circa quattro ore, i film, come ovvio che sia, sono due gangster movie che seguono la vita di Mesrine dai suoi inizi come semplice rapinatore, passando per i numerosi exploit criminosi su entrambi i lati dell'oceano Atlantico che lo hanno portato a vedersi riconoscere da parte di stampa e autorità il titolo di nemico pubblico francese numero uno, fino alla sua morte avvenuta nel 1979 alla periferia di Parigi in quella che sembrò a tutti gli effetti un'esecuzione sommaria da parte della polizia, incapace per quasi vent'anni di fermare legalmente e una volta per tutte Mesrine (che ovviamente fu anche capace di fuggire più volte di prigione).
Interpretato da un bravissimo Vincent Cassel, Jacques Mesrine è un personaggio carismatico che incarna perfettamente il ruolo del ladro (quasi) gentiluomo che riesce ad accattivarsi stampa e pubblico nonostante fosse tutt'altro che un santo che non si faceva scrupoli a sparare in mezzo alla strada nel tentativo di fuggire dalla polizia. Crea nello spettatore la fastidiosa sensazione che si prova quando si fa il tifo per uno dei cattivi e il regista non fa molto per evitare che questo accada. Ma Mesrine non era un semplice criminale, era anche un personaggio pubblico, perfettamente a proprio agio davanti ai giornalisti e davanti alle telecamere. La sua vita ricorda quella di John Dillinger, il famoso gangster americano degli anni '30, nel modo in cui diventò quasi dipendente dalla propria fama al punto da non poterne fare più a meno.

Dei due, il primo film è sicuramente il più equilibrato nella narrazione, anche se forse avrebbe dovuto analizzare maggiormente l'impatto della partecipazione alla guerra d'Algeria sul giovane Mesrine, mentre il secondo si dilunga troppo verso la fine in aspetti dell'evoluzione di Mesrine che, per quanti importanti, appesantiscono lo scorrere del film nonostante ci sia molta più azione, ma per il resto sono ottimi esempi di film biografici con un personaggio decisamente fuori dal comune.

8 ottobre 2010

Serie di simboli

DLIN DLON
Interrompiamo la normale pubblicazione di post sull'intrattenimento per una riflessione. Ci scusiamo per gli eventuali disagi arrecati.

A meno che non siate intrappolati insieme ai poveri minatori cileni, la notizia del momento è l'omicidio di Sarah Scazzi, la quindicenne scomparsa a fine agosto e ritrovata cadavere qualche giorno fa in seguito alla confessione dello zio, con tutti i particolari cruenti del caso.
La storia ha poi avuto un risvolto grottesco e crudele nella scoperta in diretta a Chi l'ha visto della confessione dello zio, mentre la madre della ragazzina si trovava proprio a casa del cognato in collegamente diretto con la trasmissione, ma di questo ne parla altrove qualcuno meglio di quanto potrei mai fare io che non ho visto il programma in TV.

Quello che invece mi passa per la testa mentre scrivo questo post è il fiume in piena di reazioni della ggggènte comune, del popolo di Facebook e di tutti quelli che hanno seguito la vicenda con svariati gradi di attenzione. Reazioni che vanno dal pacato all'aggressivo e violento, e che sfociano in roba come quella qui sotto.



Al di là di ogni commento che si possa fare sulle frasi raccolte nel video, mi piacerebbe immaginare un mondo in cui la pena di morte esiste davvero, ovunque. Un mondo in cui però, un po' come accade nei paesi anglosassoni quando si è chiamati a fare parte di una giuria popolare, a chi dice qualcosa del tipo "Io a quello lo appenderei per le palle e lo torturei per giorni fino a farlo morire di dolore" arrivasse una telefonata che dicesse: "In data XX/YY Lei ha espresso il desiderio di appendere per le palle e torturare per giorni fino a farlo morire di dolore Pinco Pallo, reo confesso del reato tal dei tali. In quanto Autorità Superiore che tutto vede e tutto sente, La informiamo che tra poco degli uomini verrano a prenderLa per portarLa in una località segreta dove potrà mettere in pratica quanto da Lei dichiarato. Perché sa, a Noi piace la gente che fa seguire i fatti alle parole e i quaqquaraqua non li sopportiamo proprio. Ah, quasi dimenticavamo: se non terrà fede alle Sue parole, La prenderemo a calci in culo fino a casa." Una situazione tipo un torture porn qualsiasi, torturatore e vittima chiusi in una stanza con tutto l'occorrente per mettere in pratica quanto dichiarato.

Ho paura di pensare a quali risultati potrebbe generare la situazione di cui sopra. Magari scopriremmo che in fondo la ggggènte non è poi così cattiva e che forse forse c'è ancora un barlume di speranza per il genere umano. Oppure potremmo finire per ritrovarci in un mondo più di merda di quanto avremmo mai potuto immaginare.

6 ottobre 2010

The Inbetweeners

Visto che How I Met Your Mother sta peggiorando a vista d'occhio e, salvo miracoli, dubito che riuscirò a sopportare ulteriormente la noia probabile dei prossimi episodi, è giunto il momento di trovare una nuova serie televisiva comica per sostituirla.

La scelta è ricaduta su The Inbetweeners, telefilm inglese prodotto da Channel 4 di cui sono già state trasmesse due serie e la cui terza è attualmente in programmazione. Ogni episodio dura poco più di 20 minuti e, come da tradizione della televisione inglese, ogni serie è composta da sei sole puntate. Per gli interessati, i cofanetti dei DVD delle prime due sono già disponibili e a fine mese sarà in vendita pure il terzo.

I protagonisti sono quattro adolescenti inglesi e il telefilm li segue nella loro tipica vita da studenti maschi tra scuola, ragazze e sbronze. Lo fa però con il solito piglio comico britannico che ti fa ridere di gusto, ma anche vergognare per i protagonisti e le situazioni imbarazzanti in cui si ritrovano. Anzi no, non ci si ritrovano, ci si ficcano con le loro mani e ne pagano le giuste, ed esilaranti, conseguenze.
Gli autori sono spietati nella rappresentazione della vita dei quattro protagonisti, e non ho idea di quanto possa essere accurata, ma il coraggio con cui usano qualsiasi situazione per fare commedia è ammirevole e spettacolarmente divertente. Il livello dell'umorismo talvolta è un po' grezzo, ma è anche tremendamente azzeccato e imbarazzante come solo le migliori produzioni televisive inglesi sanno fare. È per questo che The Inbetweeners è con molta probabilità una dei telefilm comici migliori attualmente in circolazione.

5 ottobre 2010

The Town

Ok, bisogna farsene una ragione. Oltre a essere bello come un dio greco (ma non quanto Jude Law, ovviamente), a essere sposato con quella gran gnocca di Jennifer Garner, ad avere probabilmente una discreta quantità di soldi, Ben Affleck è pure un buon attore e, soprattutto, un gran bel pezzo di regista. Già con Gone Baby Gone, il suo film d'esordio, ne aveva dato dimostrazione, ma qualcuno avrebbe potuto attribuire il tutto alla fortuna dei principianti. Ed è con il suo nuovo film, The Town, che conferma quanto di buono aveva mostrato tre anni fa dietro la macchina da presa.

Basato sul romanzo Prince of Thieves di Chuck Hogan, The Town è un thriller ambientato a Boston, MA, la città natale di Affleck. Narra di quattro amici di infanzia, nati e cresciuti a Charlestown, un quartiere di Boston famoso per aver prodotto più rapinatori di banche e furgoni portavalori di qualsiasi altra parte del mondo. I quattro amici, ovviamente, sono anche loro dei rapinatori, e sono dannatamente bravi. La mente è Doug MacCray, interpretato da Affleck, mentre uno degli altri membri della banda è l'irascibile e impusivo Jim/Jem, che ha la faccia di Jeremy Renner. Durante una rapina in una banca, i quattro, contrariamente alle loro regole non scritte, rapiscono la direttrice per coprirsi le spalle durante la fuga. E ovviamente la donna lascerà il segno. Del resto come non potrebbe, con la faccia di Rebecca Hall?

The Town segue una strada già percorsa molte volte in precedenza, ricorda a varie riprese e per motivi diversi Heat, Point Break e altri film di genere, ma riesce lo stesso ad appassionare e coinvolgere come solo i grandi film sanno fare. Il merito è sicuramente di una sceneggiatura e un copione di classe, ma anche di un cast azzeccattissimo in tutti i ruoli. Il ritmo narrativo è dosato con grande capacità e in due ore di durata non c'è un solo momento che annoi.
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