30 marzo 2010

The Cove

Le intenzioni di The Cove sono chiare fin dai primi minuti e non sono mai messe in dubbio. È un documentario che vuole denunciare un fatto preciso, e lo fa con uno stile cinematografico e una cura per il montaggio e la colonna sonora del tutto inaspettati che lo fanno somigliare a un film su una rapina a una banca.

Tutto inizia da Ric O'Barry, l'addestratore dei delfini che interpretarono Flipper nell'omonimo e celebre telefilm degli anni '60 (sì, il tempo passa così in fretta), che, dopo la morte che lui paragona a un suicidio di uno dei delfini con cui lavorò al tempo, decide di diventare un attivista per la libertà di tutti i delfini tenuti in cattività nei vari parchi marini sparsi per il mondo. Ed è grazie a lui che scopriamo dell'esistenza di Taiji, una idialliaca cittadina giapponese che sembra devotissima ai cetacei, e della sua baia dove ogni anno vengono catturati migliaia di delfini, alcuni dei quali venduti per cifre fino a $150.000 ai parchi marini, mentre gli altri (circa 23.000 ogni anno in un periodo che va da settembre a marzo) vengono brutalmente uccisi. Un massacro che avviene lontano da occhi e telecamere indiscreti e che viene tenuto nascosto in tutti i modi dalle autorità locali e nazionali.

All'inizio il tono è da crociata animalista, con O'Barry e altri che ci spiegano e descrivono le doti e l'intelligenza dei delfini (e io, da bravo cinico quale sono, non sono riuscito a non pensare agli squali di Finding Nemo). Poi si parla dell'inutilità del massacro da un punto di vista economico e sanitario, visto che la carne di delfino è tra le più contaminate dal mercurio, passando per le pratiche commerciali che vedono la carne di delfino venduta come carne di balena nei mercati giapponesi, per arrivare alle strategie del governo giapponese per giustificare le sue politiche di pesca di fronte alla IWC, la commissione internazionale che regola le questioni in materia di cetacei, politiche che sono perfettamente legittime dal punto di vista legale, visto che solo le balene e altri mammiferi marini più grandi sono protetti dalla legge.

Alla fine è l'ironia crudele della vicenda di O'Barry a rimanere più impressa, perché fu proprio lui con il suo lavoro in Flipper ad avviare la grande industria dei parchi acquatici e dell'addestramento di delfini, orche assassine e quant'altro. Il suo amore e il suo dolore sono reali e chiari nei suoi occhi e sono forse il simbolo e il messaggio più forte di questo documentario.

28 marzo 2010

I'm Here

A volte basta poco per rendere interessante e originale la classica storia di un ragazzo che incontra una ragazza. Nel caso di I'm Here, corto scritto e diretto da Spike Jonze disponibile gratuitamente online, bastano dei robot e una colonna sonora azzeccata.
Alla fine I'm Here non racconta niente di nuovo, ma lo fa con delicatezza e stile e con due protagonisti, interpretati da Andrew Garfield e Sienna Guillory, che sprizzano umanità da ogni vite. È una piacevolissima mezzora sul fascino fiabesco dell'amore, sulla sua dura realtà e sulla forza della creatività.

21 marzo 2010

Love Exposure

237 minuti. Non che non ci siano altri motivi per parlare di Love Exposure (愛のむきだし in lingua originale), ma quattro ore (arrontodiamo per eccesso visto che si perde un po' di tempo per inserire il secondo DVD) di film non passano certo inosservate. Ovviamente non si è obbligati a spararsi tutto il film in una volta sola, ma Love Exposure riesce incredibilmente a mantenere l'interesse vivo e lo spettatore sveglio per tutta la sua lunga durata. Nota di colore: il montaggio iniziale del film era di sei (!!!) ore, ma dopo svariate discussioni con i produttori, il regista lo ridusse alle quattro ore attuali.

Scritto e diretto dal regista e scrittore giapponese Sion Sono, il film è fondamentalmente una storia d'amore, ma è condita da altri temi come, in ordine sparso, la famiglia, il sesso, il travestitismo, la religione (cattolica, in questo caso), le sette, il peccato, il senso di colpa e l'arte della fotografia upskirt, con spruzzate di kung fu e gore qua e là.
Sopra le righe in praticamente tutti i suoi elementi, riesce a divertire ed essere angosciante, a far ridere e a commuovere, a trascinare in una vicenda così improbabile da essere perfettamente credibile e assurdamente verosimile. È una giostra di emozioni, generi e temi, ma parlarne non gli rende giustizia. Love Exposure è un film particolare che probabilmente non piacerà a tutti, ma è anche, senza ombra di dubbio, una pellicola fuori dal comune per i temi trattati e per il modo con cui sono affrontati. Va visto, fosse solo per il gusto di potersi vantare di aver visto un film di quattro ore ed essere sopravvissuti per poterlo raccontare.

20 marzo 2010

Good night, and good luck

Con queste parole, Edward R. Murrow si accomiatava dai suoi telespettatori dagli studi della CBS degli anni '50, e sono anche il titolo di questo film diretto nel 2005 da George Clooney.

Murrow è una figura importante della storia recente americana e un simbolo del giornalismo responsabile. Fu infatti il primo giornalista televisivo a criticare esplicitamente, nel 1953 durante il suo programma See It Now, Joseph McCarthy e la sua caccia alle streghe comuniste che, a suo dire, si erano infiltrate a tutti i livelli della società americana e che rappresentavano una seria minaccia per la sicurezza nazionale. Questa campagna creò un clima di paura tangibile nel pubblico, già angosciato dalla pensiero costante di una possibile guerra atomica contro l'allora Unione Sovietica, incapace di fidarsi persino dei propri famigliari, tutti potenziali delatori. I metodi di McCarthy violavano i più basilari diritti civili e costituzionali degli accusati, di solito portati alla gogna sulla base di voci e pettegolezzi, raramente supportati da prove concrete, se non addirittura basati su menzogne spudorate.

Il film di Clooney è un lavoro di classe, realizzato con uno stile pulito ed essenziale che mette in risalto le cose importanti. L'interpretazione di David Strathairn è perfetta, sobria e in sintonia con la vicenda.
Tuttavia, ciò che colpisce davvero del film è quanto ancora attuale sia la vicenda raccontata. Impossibile non pensare a Guantanamo Bay quando il film tratta del diritto di un imputato a conoscere i capi di accusa che pendono sulla sua testa e a guardare in faccia i suoi accusatori. Così come non si può fare a meno di fare un parallelo con quello che accade troppo spesso in Italia e altrove quando i giornalisti si piegano al potere politico per interesse personale e smettono di fare il loro dovere di informare il pubblico, di criticare e scrutinare l'operato dei potenti.

Murrow era una giornalista brillante e si rese conto già al tempo dell'enorme potere informativo, o anestetizzante, della televisione. Tra le tante sue frasi che vale la pena di ricordare, quella che mi è rimasta più impressa è: "La televisione sta guadagnando troppi soldi facendo del suo peggio per cominciare a fare del suo meglio".

17 marzo 2010

The Prestige

In un mese di marzo in cui le mie serate (e mattine e pomeriggi, in alcuni casi...) sono state e ancora sono dominate dalla presenza del multiplayer online di Battlefield Bad Company 2, non ho avuto molto tempo e voglia di vedere film, ma sono comunque riuscito a guardare The Prestige di Christopher Nolan (sì, quello dei due Batman più recenti e Memento). Il film è basato sul romanzo omonimo di Christopher Priest, che a quanto pare non è mai stato tradotto in italiano.

Ambientato nella Londra vittoriana, i protagonisti sono Angier e Bolden, interpretati dai sempre bravi e belli Hugh Jackman e Christian Bale, due illusionisti in perenne competizione tra di loro in seguito a un tragico evento avvenuto qualche anno prima. Il film inizia con la voce fuori campo di Michael Caine che spiega che un numero di illusionismo si divide in tre fasi: "The Pledge", in cui il mago mostra al pubblico qualcosa di ordinario, ma che, ovviamente, non lo è; "The Turn", in cui il mago fa fare a quella cosa ordinaria qualcosa straordinario; "The Prestige", in cui il pubblico è testimone di qualcosa mai visto in precedenza. E il film è costruito deliberatamente seguendo questa struttura divisa in tre parti.

Narrato in flashback attraverso i diari dei due protagonisti letti dai loro rispettivi avversari, tutta la vicenda si basa, come un'esibizione di magia, sulla capacità dello spettatore di farsi trascinare in questo lungo gioco di prestigio cinematografico, di lasciare da parte le proprie convinzioni e di lasciarsi prendere dalla sospensione dell'incredulità. Chi ci riesce si troverà davanti a un film costruito con intelligenza in grado di regalare sorprese e appassionare, con due ottimi protagonisti e un cast di comprimari di primissimo livello diretti da un regista di indubbia bravura, mentre per gli altri probabilmente sarà solo un esercizio di stile artificiosamente e inutilmente complicato.

The Prestige si presta a numerosi livelli di lettura ed è il tipico film che si presta a più visioni perché ricco di dettagli e indizi, di situazioni che assumono significati nuovi se riviste col senno di poi. È un film forse un pelino lungo, ma riesce sempre a essere intelligente e stimolante, senza però scadere nella presupponenza e nell'autocelebrazione, come fin troppo spesso capita con pellicole di questo tipo.

6 marzo 2010

Avatar

Dopo mesi di hype a mille, finalmente ho visto anch'io Avatar, l'ultimo colossal di James Cameron. E l'ho visto nel modo migliore, all'IMAX di Londra, tutto esaurito nonostante siano ormai tre mesi che il film è in programmazione.

Avatar è una storia di colonialismo più becero, scaturito dall'avidità dell'uomo e portato avanti con la totale mancanza per il rispetto delle tradizioni e delle vite altrui. È una storia vecchia come il mondo purtroppo, un archetipo che troppo spesso ha avuto riscontro nel mondo reale, una storia in cui sono le armi e l'ignoranza dell'uomo a parlare, il quale poi si ritrova con un palo di naturalissimo legno, scheggiato possibilmente, infilato su per il culo. Avatar ci mette davanti alle nostre azioni, al nostro modus operandi (nostro in quanto mondo "civilizzato"); magari lo fa magari con un pizzico di ingenuità, ma lo fa anche con sincerità.

Avatar è anche cinema nella sua forma più pura, sciorina sequenze una più bella dell'altra che lasciano letteralmente a bocca aperta. E non lo fa grazie a un uso spropositato della tecnologia più moderna, che è comunque impressionante, ma lo fa grazie all'abilità e alla padronanza del medium del suo regista e creatore, all'uso sapiente di tutti quei dettagli che non noti non perché siano insignificanti, ma perché sono incorporati in maniera così naturale che i nostri occhi e cervello li registrano automaticamente come parte del mondo che ci è di fronte, esattamente cosme accade nella realtà.
Avatar fa sognare, trasporta e fa riflettere, ci immerge in un mondo così incredibilmente meraviglioso e verosimile che le quasi tre ore di durata volano senza accorgersene, tre ore che non avremmo voluto che finissero mai.

1 marzo 2010

A Single Man

Il film d'esordio dello stilista reinventatosi regista Tom Ford è uno di quelli che esci dal cinema e non sai bene cosa pensare.

Basato sul romanzo omonimo scritto da Christopher Isherwood, A Single Man narra della solitudine di un uomo omosessuale nell'America degli inizi degli anni '60 che rimane solo dopo la morte del compagno in un incidente stradale.
Da un lato sono rimasto affascinato dal gusto e l'attenzione quasi maniacale per il dettaglio in tutte le sue forme, sottolineati con forse troppa insistenza dai frequenti primissimi piani, e dall'atmosfera sensuale che pervade tutto il film. Dall'altra però ho avuto anche la non sempre piacevole impressione di stare guardando un lungo spot di un profumo, con protagonisti bellissimi, vestiti bellissimi, accessori bellissimi. L'uso delle diverse saturazioni di colore a sottolineare gli stati d'animo dei personaggi e la loro carica sensuale è una piacevole trovata inizialmente, ma poi diventa un po' troppo ovvia.
Esteticamente A Single Man è ineccepibile, cosa non del tutto inaspettata considerata l'esperienza nel campo della moda del regista, ma cotanta bellezza è forse troppo per l'occhio dello spettatore comune che non riesce a farsi coinvolgere emotivamente da una vicenda che avrebbe tutti i motivi per farlo, anche e soprattutto grazie alla splendida interpretazione di Colin Firth nel ruolo del protagonista e per la quale ha vinto un premio come miglior attore protagonista ai recenti BAFTA Awards. Menzione d'obbligo per Julianne Moore che rimane bellissima e bravissima sempre e comunque.

Il film si riduce quasi a un freddo esercizio di stile, mentre l'impressione è che l'obiettivo forse tutt'altro. Affascina e cattura dal lato estetico, ma manca il bersaglio emotivo.
cookieassistant.com