28 febbraio 2012

Everything Must Go


Guardi il trailer di Everything Must Go e ti aspetti una bella commedia che faccia ridere e che ti faccia passare una bella serata senza troppi pensieri. E poi c'è Will Ferrell, cribbio, non gli faranno mica interpretare un ruolo drammatico? E invece le cose sono leggermente diverse.

Basato su un racconto di Raymond Carver, "Why Don't You Dance", questo film scritto e diretto da Dan Rush racconta di Nick Halsey, un dirigente di un'importante compagnia che si ritrova, nel giro di poche ore, disoccupato, senza una casa e abbandonato dalla moglie. Ah, ed è anche un ex-alcolista con una lunga storia di ricadute. Al suo ritorno dopo essere stato licenziato, trova tutta la sua roba ammucchiata nel giardino antistante casa sua e tutte le serrature e combinazioni cambiate, con uno stringato biglietto di addio da parte della moglie. Così, in qualche modo, Nick deve provare a rimettere insieme i pezzi della sua vita dal giardino di casa sua, combattendo contro l'alcolismo che minaccia di riprendere controllo della sua vita, e appoggiandosi sull'amicizia appena stretta con un ragazzino che gironzola nel vicinato e una donna incinta trasferitasi da poco dall'altro lato della strada.

Come già detto, Everything Must Go ha tutto l'aspetto di una commedia, ma in realtà è un film drammatico, con momenti molto intensi e toccanti e qualche situazione divertente qua e là. Una volta entrati in modalità "Ok, è un film drammatico, le risate ci sono, ma sono amare", ci si trova davanti alla classica storia di caduta e redenzione, con un personaggio interpretato benissimo da un Will Ferrell che non ti aspetti, perfettamente a proprio agio in ruolo drammatico, e con Rebecca Hall e l'esordiente Christopher Jordan Wallace altrettanto bravi a dare voce a due personaggi complemento ideale per Nick. Non rivela il segreto della vita o della felicità, e non riserva sorprese di nessun tipo, ma con una narrazione delicata e discreta di un argomento non facile per alcuni aspetti, Everything Must Go è un film piacevole nonostante la situazione sia un po' ai limiti del realismo e un finale un po' troppo "semplice".

26 febbraio 2012

Captain America: The First Avenger


È un periodo di film di super eroi per me: dopo Thor, che mi ha lasciato freddino al punto di non averne avuto nemmeno voglia di scriverne, e Super, ora tocca a Captain America e a Il primo vendicatore. Confesso che ho passato i primi dieci minuti del film a chiedermi che ci facesse Johnny Storm mingherlino nei panni di Steve Rogers e se la sua presenza non avrebbe causato dei danni irreparabili alla continuità dell'universo dei super eroi della Marvel. Fortunatamente non è apparso nessun cattivo o super eroe non previsto e i cazzotti se li sono dati solo i personaggi previsti dal copione e dal fumetto. Cazzotti di grande qualità, per altro.

Io non sono un grande appassionato di Capitan America e di super eroi in generale: lo conosco, so a grandi linee chi è e che fa nella vita, guardavo i cartoni animati che passavano in TV quando ero bambino, ma non so molto altro dell'eroe che dovrebbe rappresentare la parte migliore dell'America in guerra. Non posso quindi andare a fare le pulci a eventuali libertà creative che regista e sceneggiatori si sono presi rispetto al materiale originale. Senza termini di paragone, quello che rimane di The First Avenger è un film di super eroi fatto in maniera tradizionale, che non si vergogna di omaggiare i film d'azione vecchio stile con personaggi piacevoli, anche se non particolarmente profondi, un cattivo così cattivo che non si può fare a meno di detestare (magari sono io, ma Hugo Weaving, bravissimo per carità, comincia ad annoiarmi, mi sembra che si limiti a riutilizzare sempre lo stesso personaggio), un umorismo semplice e mai invadente e un'estetica retrò.

Sì, è scontato e sa tantissimo di già visto, ma The First Avenger ha un protagonista carismatico e affascinante, e non solo perché ha la faccia e i muscoli della Torcia Um... uhm, di Chris Evans. La figura soldato dal cuore d'oro ha ancora un suo certo fascino, e Joe Johnston lo sfrutta a dovere circondando Capitan America di attori e personaggi all'altezza del ruolo e della situazione (splendido l'Howard Stark di Dominic Cooper) e creando scene d'azione e di combattimento impeccabili sotto ogni punto di vista. Probabilmente non è uno di quei film memorabili che entreranno nella storia del cinema (dai, azzardo che non lo è sicuramente), ma nella categoria dei "Film d'intrattenimento che ti fanno un po' esaltare come un bambino", questo Captain America fa la sua porchissima figura.

15 febbraio 2012

Super


Se prendiamo Kick-Ass e, al posto di un ragazzino sfigatino appassionato di fumetti, ci mettiamo un adulto psicopatico abbandonato dalla moglie alcolizzata e drogata, otteniamo Super, scritto e diretto da James Gunn, l'autore di quella piccola gemma horror che è Slither e la mente dietro anche a quella trovata divertente che è la serie di PG Porn.

Usare il termine "psicopatici" per il protagonista Frank e la sua degna compare Libby non è per niente un'esagerazione, perché il primo è davvero fuori come un balcone, in preda a visioni mistiche, con la gentile partecipazione di alcuni tentacoli usciti direttamente da un hentai, che lo convincono di essere il prescelto di Dio per dispensare giustizia nel mondo e improvvisi e violentissimi raptus d'ira, mentre sotto le adorabili spoglie della seconda (che ha il bel visino di Ellen Page) si nasconde un'appassionata di fumetti con un fetish per i super eroi e una violenza repressa che fa spavento quando si scatena. I due sono al centro di una vicenda strana per certi versi, che è in parte commedia nera e in parte una storia dai toni piuttosto drammatici, con improvvisi e in parte inaspettati picchi di violenza fisica ed estremamente grafica. È forse questo aspetto che mi ha spiazzato, questa apparente indecisione di Super sul cosa vuole essere: non è del tutto una commedia perché non fa propriamente ridere, ma non è nemmeno un horror o un film violento, e non è un film drammatico. È schizofrenico nella sua identità cinematografica e, per quanto abbia dei momenti ottimi, mi ha lasciato interdetto, indeciso sul come sentirmi perché saltava da un'emozione all'altra per il gusto di farlo e sull'onda di un'intuizione estemporanea e non per un reale percorso di sceneggiatura, ma è anche molto probabile che sia stato io a non essere entrato in sintonia con Gunn e i suoi eroi da manicomio. Avrei preferito una maggiore coerenza emotiva e di generi, se vogliamo, ma Super rimane comunque un'interessante e tutto sommato piacevole reinterpretazione del mito dei super eroi.

6 febbraio 2012

Attack The Block


Guardando Attack The Block mi è sembrato di tornare ragazzino, quando andavo al cinema con mio padre (è successo poche volte in verità, ma non importa) a vedere i film ignoranti di Stallone come Rocky IV e Rambo 2, durante i quali era accettato e incoraggiato applaudire e urlare quando il nostro eroe si risollevava o ammazzava il cattivo di turno. Con questo film di Joe Cornish viene naturale fare lo stesso, perché ha quello spirito un po' menefreghista e cazzaro, con momenti infantilmente esaltanti che ti fanno venire i lucciconi di gioia e allegria. È solo un peccato che l'abbia visto da solo, perché in compagnia dev'essere nettamente più divertente.

Attack The Block è un film che prende un po' di generi, li mischia, e ne tira fuori un'oretta e mezza di godibilissimo intrattenimento cinematografico. C'è il gruppo di ragazzini che fa tanto Goonies moderni, solo che questi sono un mucchio di mezzi delinquenti cresciuti in un council estate (le case popolari inglesi) del Sud di Londra, ci sono degli alieni che arrivano sulla Terra e decidono di attaccare il palazzo dei suddetti giovincelli in seguito a un "disguido", ci sono i personaggi di contorno simpatici, detestabili e scombinati. C'è anche un accenno di analisi e denuncia sociale sulle condizioni di vita dei giovani cresciuti nelle zone più disagiate di Londra e che probabilmente sfugge a chi non conosce un minimo l'argomento. Ci sono le scene di azione, i momenti di suspence, gli spaventi (piccoli, in verità), le risate, il sangue e la carne strappata a brani. Insomma, c'è un po' di tutto, in dosi e tempi giusti, e non è un caso che siano coinvolti nel progetto anche alcune delle persone che hanno lavorato su Shaun of the Dead e Hot Fuzz, perché ne condivide impostazione e approccio ai vari generi da cui prende ispirazione.

Mi raccomando, se possibile è da vedere in lingua originale per poter apprezzare il particolare accento del Sud di Londra ("A'ight, bruv?) e alcune espressioni slang assurde.

1 febbraio 2012

Trust


Con forse qualche pregiudizio di troppo, non è facile aspettarsi molto da un film diretto da David Schwimmer, il cui ruolo più famoso è sicuramente quello di Ross in Friends, ma non va dimenticato che ha anche diretto Run Fatboy Run nel 2007.

Eppure, forse un po' a sorpresa, Trust è un gran bel film che affronta un tema difficile come quello della pedofilia con tatto e delicatezza rari. Non è film di accusa o una caccia al mostro, né offre soluzioni a un problema per il quale è difficile fare prevenzione vera e concreta. Cerca solo di mostrare il dramma di una quattordicenne che finisce per essere la vittima di un uomo adulto che approfitta di lei e della sua ingenuità e quello della sua famiglia impegnata a rimettere insieme i pezzi della propria esistenza. Perché se da un lato è ovviamente la giovane Annie a essere la protagonista e vittima della vicenda, dall'altra ci sono i genitori Will e Lynn che non sanno come comportarsi in una situazione del genere combattuti tra il senso di colpa per non essere stati in grado di proteggere la propria bambina e il desiderio di vendetta, di punizione per il colpevole. È soprattutto il padre, interpretato da un ottimo Clive Owen, a essere più in difficoltà, a non riuscire a trovare quel briciolo di pace interiore necessario per dare un senso di sicurezza alla figlia che vede la sua vita da adolescente andare in frantumi un pezzo alla volta.

Trust è indubbiamente un bel film, ma è soprattutto l'interpretazione di Liana Liberato nella parte di Annie a spiccare e a elevarlo sopra la media, e per una volta abbiamo un'attrice che ha davvero l'età del personaggio che interpreta e non un'adulta che fa finta di essere una ragazzina (come per esempio Carey Mulligan nel bellissimo An Education). Quindi facciamo i complimenti a Ros... ehm, David, perché se li merita davvero.
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