25 febbraio 2011

Inception

Dai, ci ho messo solo circa sei mesi per vedere Inception, affittato in alta definizione dal PlayStation Network perché LoveFilm ci stava mettendo troppo a inviarmelo. Ma i film non hanno data di scadenza, quindi chi se ne frega.

Comunque, dicevamo, Inception. Ho cercato di leggerne il meno possibile per evitare di avvicinarmi al film con in testa l'opinione di qualcun altro e, anche se non ci sono riuscito proprio del tutto, alla fine è stato meglio così. Intanto perché Inception mi è piaciuto un botto, ma proprio tanto, nonostante qualche diffettuccio che avrebbe affossato senza appello altri film. Cristopher Nolan però non è uno qualsiasi, ed è grazie a lui che Inception è così bello. A livello di regia, mi trovo d'accordo con la mancata nomination agli Oscar: per quanto si spari le pose in un paio di scene molto belle, Nolan non fa niente di straordinario e anche gli attori si limitano a fare il loro compitino senza però entusiasmare. Anche i dialoghi sono un po' legnosetti, e in più di un'occasione sembrano scritti con il solo obiettivo di spiegare allo spettatore la trama piuttosto che approfondire la psicologia dei personaggi.
Cos'è quindi che fa di Inception un film così bello? La trama e la sceneggiatura: la prima è originale e complessa al punto giusto, mentre la seconda è semplicemente perfetta. A parte un avvio forse un pelino lento, il film non ha un pezzo fuori posto, il ritmo narrativo non manca un colpo e aumenta incessantemente fino alla conclusione, una fine che per una volta non è né forzata, né deludente. Insomma, ho aspettato mesi per vedere Inception, ma ne è valsa decisamente la pena.

A margine, Inception non mi è sembrato particolarmente complicato. D'accordo, è più complesso del cinepattone a cui è abituato lo spettatore medio, ma non richiede niente di più di semplice attenzione durante il film. Del resto, non si può certo pretendere di capirci qualcosa se mentre si guarda il film si scrivono cazzate su Facebook col cellulare.

22 febbraio 2011

Black Dynamite

Fare film di merda è un'arte. Non ci si improvvisa registi alla Uwe Boll dall'oggi al domani, ci vogliono predisposizione naturale e una marcata inettitudine. Alcuni film di merda sono brutti e basta, annoiano senza possibilità di appello, ma altri sono così terribili da fare il giro e diventare [quasi] belli.

Negli anni '70 e '80 il genere dei film d'exploitation divenne piuttosto famoso soprattutto per la quantità di pessime pellicole prodotte. Infatti uno dei capisaldi del genere è un'attenzione pressocché nulla alla qualità del film per invece puntare tutto su determinati elementi estetici e contenutistici (i.e. tette, violenza e musica di un certo tipo) per raggiungere una precisa porzione del pubblico. All'interno di questo filone cinematografico si identificano molti sottogeneri (un po' come i fetish sessuali, dai) tra cui il Blaxploitation che abusava di svariati cliché razziali, accompagnati da protagonisti di colore e colonne sonore funk e soul e di cui Black Dynamite riprende tutti gli stilemi per farne una parodia.
È chiaro dal primissimo istante che Black Dynamite non ha la minima intenzione di prendersi sul serio nemmeno per un momento e in poco più di 80 minuti colleziona tutti gli orrori che gli amanti del genere hanno imparato ad adorare: recitazione pessima e sempre sopra le righe, storie improbabili, montaggio completamente a caso, dialoghi così ridicoli da essere [in]volontariamente comici, kung fu e tette e pure un microfono volutamente in scena durante un dialogo.

Forse Black Dynamite esagera con la parodia, ma probabilmente è perfetto per coloro che conoscono bene il genere di riferimento e possono cogliere tutte le battute, ma nonostante io non sia uno di questi conoscitori, ammetto di aver riso, e tanto, per tutto il film, con alcune scene e alcune battute semplicemente memorabili.

19 febbraio 2011

Whip It

Quante volte ci hanno raccontato la storia di un protagonista adolescente o giù di lì, in conflitto più o meno acceso con uno o entrambi i genitori e che trova una via di fuga e se stesso in un qualcosa di totalmente alieno al suo mondo, così estraneo da avere la necessità di tenerlo nascosto ai genitori, che ovviamente inizialmente disapprovano, ma che poi finiscono per approvare ed esserne felici? Ecco, Whip It è solo l'ennesimo film che va aggiungersi a questa lista e sicuramente non sarà l'ultimo a farlo.

Non che questo sia un problema, eh, anzi. Intanto perché in Whip It c'è Ellen Paige, che a me piace tanto tanto, e poi c'è pure Zoe Ball, che spacca sempre e comunque. Ma è tutto il cast a funzionare, con tutti i suoi membri azzeccati per il ruolo e sempre in sintonia tra di loro. Non so, magari me lo sono immaginato io, ma Whip It mi ha dato l'impressione di essere uno di quei film in cui tutti quelli che ci hanno lavorato si sono divertiti un casino a farlo, persino, e forse soprattutto, quando le ragazze si gonfiano di pattoni coi pattini ai piedi, oppure quando Babe Ruthless, il personaggio di Ellen Paige, litiga con Iron Maven, interpretata da Juliette Lewis.

Ah già, i pattini. Whip It è pure un film di sport, genere che a me piace di solito, e in questo caso lo sport è il roller derby, praticato a quanto pare solo da donne. Per quanto sia una disciplina atipica, il roller derby si presta comunque a riprendere i temi comuni a tanti film sportivi: il senso di famiglia all'interno della squadra, i compagni che diventano amici e supporto nei momenti difficili, la crescita dei membri come atleti e come persone, e Whip It racconta tutto questo.

Al suo esordio alla regia, Drew Barrymore con Whip it non fa niente che non sia già visto o sentito in precedenza, ma insomma, lo fa con tanto sentimento e tanta onestà e non si può non apprezzarne il bel risultato.

16 febbraio 2011

The Secret of Kells

Ammetto subito la mia ignoranza: non avevo idea di che cosa fosse il Libro di Kells prima di vedere questo film e, ovviamente, ignoravo completamente che fosse un tomo realmente esistente, conservato nella biblioteca del Trinity College di Dublino.

Detto questo, The Secret of Kells è un film di animazione che inganna e che nasconde sotto un aspetto tanto dolce e puccioso una storia meno ovvia di quanto si possa sospettare. Quella di Brendan potrebbe essere a una prima occhiata la classica storia dell'adolescente che diventa, mentalmente e fisicamente, un adulto, ma gli elementi che fanno da contorno complicano la faccenda. Forse fin troppo, perché gli 80 minuti scarsi di durata fanno fatica a raccontare adeguatamente la vicenda, soprattutto nelle sequenze conclusive che sono un po' tirate via, ma la realizzazione estetica del film è così bella e ammaliante che alla fine non ci si fa davvero caso.
Il regista Tomm Moore pesca a piene mani dalla tradizione cristiana e dal folklore irlandese e li usa per creare una favola classica, impreziosita da un'estetica semplicemente meravigliosa che rende giustizia al libro da cui prende ispirazione e di cui riprende la forma prettamente bidimensionale del disegno su carta. Di film di animazione ce ne sono molti, ma pochi hanno un'identità e una forza tale da essere in grado di narrare attraverso le sole immagini, anche riducendo l'audio a zero, e The Secret of Kells è uno di questi.

3 febbraio 2011

Carlos The Jackal

I film biografici si dividono grossonalmente in due categorie: quelli che richiedono la previa conoscenza della storia narrata per poter essere apprezzati e quelli che invece sono godibili anche senza sapere niente. Esempio della prima categoria: La Vie en Rose. Esempio della seconda categoria: Mesrine. E combinazione sia questi due film che Carlos The Jackal sono produzioni francesi.

Carlos fa parte della prima categoria, quella dei film che ti fanno capire poco e niente e se non sai come sono andate davvero le cose, sono cazzi tuoi. C'è da dire però che a parziale discolpa, o aggravante, Carlos il film è in realtà una versione adattata per il cinema dell'omonima serie televisiva che dura circa il doppio. Viene quindi naturale pensare che nel telefilm le cose vengano spiegate e descritte come si deve.
Eh sì, perché nel film ci viene raccontata la storia di Ilich Ramírez Sánchez, in arte Carlos lo Sciacallo appunto, un terrorista venezuelano che a cavallo tra gli anni '70 e '80 ha compiuto svariati attentati e attacchi, tra il cui il famoso attacco alla conferenza dell'OPEC a Vienna nel dicembre del 1975. Il problema sorge nel momento in cui ci si chiede perché un venezuelano di chiara ideologia comunista combatta prima per la causa palestinese, poi si allei con gli iracheni, i siriani e poi finisca in Sudan dove, nel 1994, sarà finalmente arrestato dalla polizia francese e deportato in Francia per essere processato per l'omicidio di due agenti dei servizi nazionali e di un presunto informatore. Le motivazioni di Carlos sono molto vaghe, si intuiscono, ma non è mai davvero spiegato perché faccia quello fa. Come se non bastasse, per più della metà del film Carlos non combina letteralmente un cazzo, non ammazza nessuno, non fa scoppiare nessuna bomba, si limita a viaggiare da un paese arabo all'altro, a bere e a trombare (chiamalo scemo).

E il pensiero torna alle cinque ore e mezza della serie televisiva e alla sensazione che in quelle quasi tre ore in più (il film dura due ore e tre quarti) ci siano le risposte a tutti i dubbi che Carlos come film lascia. Viene da chiedersi perché non abbiano fatto come Mesrine o Che e diviso il tutto in due film invece di farne uno solo, ma ormai è troppo tardi, e dubito che recupererò mai la serie intera. Per lo meno il film è girato ottimamente ed Edgar Ramirez nel ruolo di Carlos è spettacolare, quello sì, però del Carlos terrorista non ne so molto più di quanto non ne sapessi prima di guardare questo film.
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