28 maggio 2010

Ink

Di solito evito di guardare film alla cieca e mi documento online, del resto con così tanti bei film in giro, perché devo perdere tempo con quelli che fanno schifo? Ed è per questo che volevo vedere con un certo interesse Ink, di cui si leggeva un gran bene, ma questo a volte non basta per essere sicuri di vedere un bel film. Non che Ink sia completamente da buttare via, intendiamoci, però poteva anche essere molto meglio, ecco. Ma andiamo con ordine.

Ci sono due fazioni contrapposte, gli Incubi [sic.] e gli Storyteller, che durante la notte danno alle persone che dormono rispettivamente incubi (ma pensa) e sogni. Nel mezzo ci sono un padre, sua figlia di circa 6 anni e l'Ink del titolo, un uomo deforme che non appartiene a nessuna delle due fazioni, ma che rapisce la piccola per guadagnare il favore degli Incubi. Il rapimento avviene però nel mondo dei sogni e questo fa sì che la bambina cada in coma nel mondo reale. La narrazione quindi segue Ink e la piccola nel mondo dei sogni e il padre in quello degli svegli, con gli Storyteller che cercano di salvare la piccola e responsabilizzare il padre, al quale è stata tolta la custodia della figlia per eventi che non sto a raccontare.
Di elementi per fare di Ink un buon film ce ne sono (ha una storia interessante con qualche sorpresa, una forte personalità estetica e uno stile che mi ha ricordato Heavy Rain e Silent Hill), il problema è che la prima parte del film è eccessivamente prolissa e, nonostante abbia il pregio di caratterizzare i personaggi e l'ambientazione con grande ricchezza di dettagli, ha il gravissimo difetto di avere un ritmo così lento da annoiare anche i più pazienti. La maggior parte degli attori poi ha una recitazione che non arriva alla sufficienza (la più brava è nettamente la bambina, il che è tutto dire) e che danneggia le situazioni emotivamente più coinvolgenti. Certo, non va dimenticato che il film è stato girato con un budget molto ristretto interamente finanziato dal regista e autore Jamin Winans, e si vede, ma resta il fatto che la qualità generale della pellicola ne soffre.

Insomma, a stare a sentire le sirene della rete mi aspettavo che mi sarei trovato di fronte a un piccolo capolavoro di cinema indipendente, e invece ho visto un film con qualche buona idea affogata nel mare di noia che è tutta la parte introduttiva della pellicola. Le cose migliorano andando avanti, ma dimenticare il supplizio appena passato è difficile.

26 maggio 2010

An Education

Basato su un racconto autobiografico, sceneggiato dal Nick Hornby bravo di High Fidelity e non quello penoso di How To Be Good e diretto dalla danese Lone Scherfig, An Education è un film bello dall'inizio alla fine. Ma tanto, eh.
È bello perché trova un equilibrio pressocché perfetto tra commedia e dramma, perché ha dei personaggi adorabili e vivi, perché ci fa sentire un po' come si viveva nella Londra del 1961.
La storia è quella di Jenny, una sedicenne intelligente, convinta che la vita non sia solo studiare e annoiarsi. E proprio a fagiolo capita David, un trentacinquenne che la seduce con una vita fatta di concerti di musica classica, serate danzanti e viaggi a Parigi e per il quale la ragazzina metterà in discussione il suo futuro. Non solo, anche la famiglia di Jenny rimarrà ammaliata da quello che sembra essere un uomo troppo bello per essere vero.

Jenny ha la faccia di Carey Mulligan che diciamolo, si vede che non ha 16 anni da un po' di tempo, ma che cazzo, è così brava che si fa fatica a raccontarlo. Sarebbe ingiusto dire che la giovane londinese si porta sulle spalle il film, del resto c'è anche un Alfred Molina che rulla sovrano anche nel ruolo di un rigido padre di famiglia degli anni '60 senza tentacoli meccanici, ma la sua interpretazione spicca senza dubbio.

Insomma, An Education va visto, perché di film così belli non ce ne saranno mai abbastanza.

24 maggio 2010

Near Dark

Prima di diventare la cinquantenne ultragnocca che vince l'Oscar alla faccia dell'ex-marito, Kathryn Bigelow nel 1987 esordiva alla regia da sola con Near Dark, quindi ben prima che i vampiri l'attuale prezzemolo dell'industria dell'intrattenimento.

Il protagonista è Caleb, un giovane fattore che si invaghisce della misteriosa e affascinante Mae. La ragazza sembra troppo gnocca per essere vera, e infatti si rivela essere un vampiro che inavvertitamente morde il giovinotto, il quale si accorge in fretta di stare diventando a sua volta una creatura della notte (l'ho scritto sul serio?). Mae lo convince a seguirla ed è così che conosciamo il resto dell'allegra combriccola di vampiri, formata dal patriarca Jesse, interpretato da Lance Henriksen, lo psicopatico Severen, con la faccia di Bill Paxton, la violenta Diamondback e il piccolo, anche se solo all'apparenza, Homer.

Near Dark è un film che mischia generi con grande sapienza: western, una storia d'amore e di famiglia, horror e azione. Tutti gli elementi sono dosati e miscelati alla grande e visivamente il film è di forte impatto grazie all'ottima fotografia. La rappresentazione della "famiglia" mi ha ricordato The Devil's Rejects, nel modo in cui i vampiri sono sì degli assassini sanguinari, ma anche per come rivelano una certa inaspettata umanità che ti fa provare una involontaria e sgradita compassione per loro. Le interpretazioni dei due protagonisti forse potrebbero essere un filino migliori, e la conclusione del film sembra un po' troppo "semplice", ma Near Dark mantiene intatto il suo valore anche dopo 23 anni ed è uno dei film migliori sui vampiri (non che ne abbia visti chissà quanti, ma vabbè).

18 maggio 2010

Cloudy With A Chance Of Meatballs

I film non devono essere per forza capolavori di originalità per essere piacevoli e/o divertenti, o avere messaggi profondi oppure avere personaggi saggi e realistici. E Cloudy With A Chance Of Meatballs non ha niente di quanto appena elencato, anzi usa e abusa di stereotipi assortiti, personaggi già visti mille volte e storie vecchie come il mondo.

Basato sull'omonimo libro per bambini, CWACOM (quanto fa fico usare gli acronimi, mi riporta ai tempi di ZZAP!) è un film di animazione di non ho idea quale studio; di sicuro non è roba Pixar, e non penso nemmeno che ci siano dietro i tizi di Dreamworks (ho controllato, è della Sony Pictures). Il protagonista è Flint, un ragazzo che fin da piccolo è un piccolo genio in grado di creare le invenzioni più strampalate e inutili, e che un giorno crea una macchina in grado di trasformare l'acqua in qualsiasi cibo, hotdog e hamburger inclusi. Ovviamente, da reietto che era, la macchina prima lo farà adorare da tutti, poi manderà tutto in vacca e sarà Flint a dover salvare la baracca e, già che c'è, conquistare la donzella di turno.

La storia è, appunto, già stata raccontata e ascoltata all'infinito, ma il film lo fa con un gusto e uno stile innegabili che rendono il tutto piacevole e divertente, grazie anche a un tocco di commedia slapstick che non guasta. Anche il design dei personaggi è indovinato e le loro animazioni sono azzeccate e danno loro una parvenza di personalità, ma è tutto il film ad avere una vera personalità estetica che rende questo film per bambini un modo più che accettabile di passare una serata anche per chi bambino non lo è più da un po'.

15 maggio 2010

Bunny and The Bull

Scritto e diretto dall'esordiente Paul King, già regista della serie televisiva inglese The Mighty Boosh, Bunny and the Bull è una commedia di due amici, Steve e il Bunny del titolo. È anche, nelle parole del suo regista, un road-movie ambientato in un appartamento.

Steve è un agorafobico, rinchiuso in acasa da circa un anno in seguito a non meglio specificati eventi avvenuti durante una vacanza in giro per l'Europa in compagnia di Bunny, il quale è caratterialmente l'opposto di Steve, ha successo con le donne e ha un problema con il gioco d'azzardo. La loro vacanza è raccontata attraverso i flashback che Steve ha nel suo appartamento rigurdando fotografie e altri oggetti collegati in qualche modo al viaggio.

Bunny and the Bull ha uno stile visivo molto particolare e gran parte delle scenografie sono realizzate con cartapesta, meccanismi di orologio e oggetti da cucina, con molti elementi ripresi dall'appartamento di Steve, e utilizza anche la tecnica dello stop-motion in molte sequenze. La trama e i personaggi sono classici e, se vogliamo, scontati, ma lo stile visionario rende il tutto più gradevole. L'umorismo particolare potrebbe non piacere a tutti, è molto inglese per molti aspetti (io mi sono letteralmente spaccato dal ridere quando i protagonisti incontrano il barbone in Svizzera) e la sceneggiatura fatica a fondere i momenti comici con quelli più seri se non alla fine, ma Bunny and the Bull è sicuramente un film sincero su due improbabili amici e il loro viaggio metaforico e non che merita di essere visto, fosse anche solo per il suo stile visivo molto particolare.

10 maggio 2010

Amores Perros

Questo film messicano del 2000 è un discreto mattoncino. Di quelli intensi, lenti, pesanti, lunghi (2 ore e mezza circa). Però è anche un bel film, girato con gusto cinematografico e ricco di personalità e atmosfera.

Il titolo può essere tradotto piuttosto liberamente con "L'amore è una cagna", e non è un titolo casuale, perché il ruolo dei cani e le loro vicende sono strettamente collegate a quelle dei loro padroni. Amores Perros narra tre storie d'amore nel senso più ampio del termine, tre storie che si intersecano in alcuni momenti, ma che rimangono comunque ben distinte. La prima è quella di due fratelli e una ragazza sposata con uno dei due, quello violento e poco di buono, mentre l'altro è innamorato di lei e vorrebbe portarla via verso la felicità; la seconda ha come protagonisti il responsabile di una rivista di moda/costume e la sua amante, modella per una nota marca di profumi, per la quale abbandona casa e famiglia; la terza è la storia di una barbone ex-galeotto che sbarca il lunario facendo il sicario su commissione mentre cerca di trovare il coraggio di riallacciare i rapporti con la figlia abbandonata vent'anni prima.
La parte centrale del film, quella della seconda storia, è quella che rende il film decisamente più pesante di quanto non sia già, ma il film rimane notevole nella sua rappresentazioni di sentimenti e relazioni. Certo, è tutt'altro che un film "facile", e il ritmo lento annoierà più di una persona, ma Amores Perros è decisamente un ottimo lavoro di realismo sui drammi della vita.

6 maggio 2010

D-War - Dragon Wars

Riesumo un altro post che pubblicai tempo fa su un altro blog. Il film merita, del resto.

Ieri sera sono passato a trovare un amico che non vedevo da un bel po' di tempo. Prima del mio arrivo, è andato ad affittare un film "speciale" per "festeggiare" il nostro incontro. Un bel gesto, dai, del resto erano mesi che non ci si vedeva. Il bello è che questo mio amico lo ha affittato col preciso intento di vedere un film di merda, roba che nemmeno Italia 1 avrebbe il coraggio di passare... forse.
Il film era il sopracitato D-War. E, manco a dirlo, il mio amico è perfettamente riuscito nel suo intento.

Il film è di una bruttezza rara. Una bruttezza che non riesce nemmeno a disgustare, mi sono ritrovato più volte a ridere di gusto di fronte agli evidenti buchi di sceneggiatura, alle inquadrature totalmente sballate, alla recitazione da codice penale. Ma il bello è che questo film è costato qualcosa come 75 milioni di dollari (americani, per i più puntigliosi)!

La trama (parola forte) è a grandi linee la seguente (è talmente sconclusionata che faccio fatica persino a scriverla in modo comprensibile): un'antica leggenda coreana narra di due draghi, uno buono come il pane, l'altro cattivo come la gramigna, e di come ogni 500 anni nasca una fanciulla che porta dentro di un sé un coso ('na specie di perla che dona poteri da Super Sayan al fortunato drago che se ne appropria) che in pratica diventa maturo al compimento del ventesimo compleanno della già nominata donzella. Ovviamente ogni 500 anni questi due draghi si infoiano come dei cani in calore per conquistare il coso. Nel frattempo, un vecchio babbione addestra un povero stronzo che dovrà proteggere la tipa dal drago cattivo e i suoi seguaci brutti e cattivi (che manco farlo apposta, ricordano vagamente i cattivi di Lord of the Rings). E qui già uno potrebbe chiedersi: ma perché diamine bisogna addestrare un povero mentecatto per proteggere la rintronata quando c'è già un drago buono pronto all'uso? Vabbè, non divaghiamo.
Succede un po' di casino, si passa ai giorni nostri (anzi, si torna, visto che quanto sopra è narrato, di merda, in flashback). Scopriamo che un povero coglione giornalista, interpretato da Jason Behr, è il protettore prescelto della nuova cretina reincarnata (una scialbissima Amanda Brooks). Il suo maestro è interpretato da Robert Forster, che ricopre anche il ruolo di tappa-buchi di sceneggiatura; quando il film è in un vicolo cieco, arriva lui dal nulla e risolve la situazione, lasciando personaggi e pubblico di stucco.
Succede ancora un po' di casino, le forze del male (realizzate in ottima CG) mettono a ferro e fuoco la città, i nostri eroi non fanno altro che scappare a piedi/in macchina/in elicottero, si arriva allo scontro conclusivo, i draghi si danno un po' di mazzate mentre i nostri eroi confermano la loro totale inettitudine al ruolo, fine (finale per altro che conferma l'incompetenza dell'autore, roba da mettergli le mani addosso).

Cioè, il mio resoconto è davvero molto più logico dello svolgimento del film, che sembra sceneggiato da un bambino dell'asilo dislessico. Succedono cose senza il mio minimo ordine logico, i personaggi si ritrovano in luoghi e situazioni senza che ci venga mostrato come e quando ci si sono ritrovati, i dialoghi sono scritti dal fratello più piccolo, e più scemo, del bambino di cui sopra, le scene si susseguono a caso, il montaggio è stato realizzato mettendo le varie scene in bussolotti della tombola poi estratti a caso e montati nell'ordine di estrazione.
Ahahah, vi giuro, non penso davvero di aver mai visto un film così sconclusionato. Merita di essere visto. vi giuro, raccontarlo non dà idea di che roba sia questo D-War. Altro che Ozpecoso.

4 maggio 2010

The Chaser

Di film belli è pieno il mondo, ma alcuni rimangono più impressi di altri. È il caso di The Chaser, film coreano diretto dall'esordiente Hong-jin Na.

The Chaser è un thriller con elementi abbastanza classici: c'è un serial killer psicopatico, c'è un anti-eroe che si ritrova coinvolto suo malgrado, ci sono inseguimenti, ci sono indagini, c'è una donna in pericolo, c'è una bambina tanto dolce e carina, c'è un discreto tasso di violenza. Quello che cambia è il modo in cui questi elementi sono gestiti; il regista mette in tavola tutte le carte quasi subito e poi le mischia continuamente, creando un'atmosfera di tensione e disagio costanti. Hong-jin Na non esagera mai, non nasconde vuoti creativi dietro esplosioni e sparatorie, azzecca tempi e ritmi narrativi sfruttando alla grande la scenografia offerta dalle strade e dai vicoli di Seul e creando un intreccio quasi perfetto. Quasi perfetto perché nel finale il film ha un paio di passaggi a vuoto a causa di una sceneggiatura non proprio irreprensibile e perché il ruolo della polizia e delle autorità in generale, che ha l'aspetto di un tentativo maldestro di denuncia sociale, appare fuori posto in alcuni frangenti.
Ma quel "quasi" non intacca minimamente la qualità generale del film, che ha in Yun-seok Kim un protagonista bravissimo e che regala momenti di tensione vera fino alla fine.
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