Dopo mesi di hype a mille, finalmente ho visto anch'io Avatar, l'ultimo colossal di James Cameron. E l'ho visto nel modo migliore, all'IMAX di Londra, tutto esaurito nonostante siano ormai tre mesi che il film è in programmazione.
Avatar è una storia di colonialismo più becero, scaturito dall'avidità dell'uomo e portato avanti con la totale mancanza per il rispetto delle tradizioni e delle vite altrui. È una storia vecchia come il mondo purtroppo, un archetipo che troppo spesso ha avuto riscontro nel mondo reale, una storia in cui sono le armi e l'ignoranza dell'uomo a parlare, il quale poi si ritrova con un palo di naturalissimo legno, scheggiato possibilmente, infilato su per il culo. Avatar ci mette davanti alle nostre azioni, al nostro modus operandi (nostro in quanto mondo "civilizzato"); magari lo fa magari con un pizzico di ingenuità, ma lo fa anche con sincerità.
Avatar è anche cinema nella sua forma più pura, sciorina sequenze una più bella dell'altra che lasciano letteralmente a bocca aperta. E non lo fa grazie a un uso spropositato della tecnologia più moderna, che è comunque impressionante, ma lo fa grazie all'abilità e alla padronanza del medium del suo regista e creatore, all'uso sapiente di tutti quei dettagli che non noti non perché siano insignificanti, ma perché sono incorporati in maniera così naturale che i nostri occhi e cervello li registrano automaticamente come parte del mondo che ci è di fronte, esattamente cosme accade nella realtà.
Avatar fa sognare, trasporta e fa riflettere, ci immerge in un mondo così incredibilmente meraviglioso e verosimile che le quasi tre ore di durata volano senza accorgersene, tre ore che non avremmo voluto che finissero mai.
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