Scusate per l'assenza dovuta a stanchezza, pigrizia e generale mancanza di ispirazione e argomenti interessanti da trattare. Non che ora abbia chissà cosa da raccontare, ma quanto meno ho voglia e tempo di scrivere qualcosa.
Sabato scorso (non ieri, quello della settimana scorsa) io e Luis ci siamo visti con David che ci ha portati prima a mangiare il ramen, classica zuppa giapponese a base (penso) di brodo di maiale (con particelle di grasso galleggianti), spaghetti, verdure, pezzi di carne di maiale e uova. Sì, è pesante come sembra... anzi, di più. Però è anche ottima. Il bello dei locali che servono ramen è che di solito sono molto piccoli, senza tavoli, con i clienti seduti intorno al banco e il tizio che cucina di fronte a loro. Tutto molto casereccio e molto "giapponese". Non esistono menu, ma ci sono delle macchine tipo distributori di sigarette, con cui si ordina: in pratica, si sceglie il proprio piatto, si infilano i soldi, la macchinetta elargisce il bigliettino che rappresenta l'ordine che va poi consegnato al "cuoco". Ed è fatta.
Il ramen è molto tradizionale qui, al punto che esistono riviste dedicate all'argomento. Non ne ho ancora trovata nessuna, ma se mai ci riuscissi, la porterà a casa con me, un souvenir del genere non ha prezzo.
Finito di ingozzarci, siamo passati in sala giochi per dare qualche mazzata ai giappo... vabbé, non è andata proprio così, ma lasciamo stare.
Siamo poi andati a Roppongi, area di Tokyo che pullula (purtroppo) di gaijin, soprattutto americani. Roppongi è il quartiere dove va la maggior parte degli stranieri perché nei locali è possibile ordinare in inglese e perché le ragazze giapponesi vanno lì per rimorichiare/farsi rimorchiare da qualche straniero. Devo dire che a me Roppongi non è piaciuta molto, quasi per niente a essere sincero. È troppo poco giapponese e troppo simile a una zona incasinata di una qualsiasi grande città occidentale. E la percentuale di ragazze carine sembra anche essere più bassa rispetto alle altre zone di Tokyo. E poi, diciamolo, è pieno di yankee, il che è davvero pesante. Dragon, non volermene :*
Alla fine, la serata si è conclusa verso le 4 del mattino, con me e Luis in una specie di bar con musica ad alto volume che chiacchieravamo e bevevamo giusto perché non avevamo granché voglia di tornare a casa presto.
L'altro ieri e ieri invece sono state serate caratterizzate dalla poca voglia di fare qualsiasi cosa. Tutti troppo stanchi.
Venerdì, io, Luis e Jacques, il traduttore francese, siamo andati a mangiare in un microlocale che abbiamo scovato vicino all'albergo. Davvero molto carino e con un menu che, anche se completamente in giapponese, aveva dei disegnini che ci facevano capire cosa stavamo ordinando (maiale, pollo, pesce e così via). Completamente a caso, abbiamo preso un piatto da ogni categoria, affidandoci alla Provvidenza. Tutto sommato ci è andata bene, a parte sul fatto di maiale che si è rivelato essere fegato (bleargh) con verdure.
A fine serata, ho seguito la tradizione del locale (le pareti erano tappezzate di biglietti da visita) e consegnato uno dei biglietti da visita che avevo in Square e l'ho dato al proprietario del locale. Subito è rimasto un po' interdetto perché il biglietto da visita era tutto in inglese, ma quando poi gli ho fatto notare che sul retro era tutto in giapponese, ha cambiato completamente atteggiamento. Contento come una pasqua, mi ha chiesto di dov'ero e quando gli ho detto che ero italiano, mi ha detto che una ragazza che stava al tavolo a fianco al nostro parlava italiano. Follia pura. Così ho cominciato a scambiare quattro chiacchiere con la tizia: il suo italiano era molto arrugginito, ma tutto sommato più che discreto (vorrei parlare giapponese come lei parla italiano, altro che). Così scopro che ha vissuto per due anni a Firenze per studio, ma che poi non aveva avuto più l'occasione di tornarci.
Cazzo, è più facile trovare gente che parla italiano che gente che parla in inglese in questo paese.
Ieri invece, dopo un pomeriggio passato a girare per Akihabara e Shibuya, con un caldo infernale, sono rimasto a casa: ero davvero troppo stanco per fare qualsiasi cosa.
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