17 agosto 2010

Das weisse Band

Ammetto subito la mia ignoranza e confesso che prima di vedere Il nastro bianco (rigorosamente in lingua originale con sottotitoli in inglese) non avevo mai sentito nominare il regista Michael Haneke.
Ecco, ora che ho rivelato che di cinema non capisco poi così tanto, posso andare avanti.

Eviterò di parlare della trama, perché molto del fascino del film risiede proprio nell'addentrarsi lentamente (ma MOLTO lentamente, considerato il passo della narrazione) nella vita del villaggio della Germania del nord che fa da teatro alla vicenda. Anche se si potrebbe pensare che questa storia sia tipicamente tedesca, il messaggio è universale e può essere applicato facilmente in altre realtà. Altrettanto simbolico è il periodo storico in cui si svolge il film, vale a dire i mesi che precedono lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Das weisse Band è un discreto mattoncino, va detto, ma è anche un film intenso e inquietante. La solo all'apparenza pacifica vita del villaggio rurale trae in inganno e amplifica l'impatto che i crudi eventi che ne turbano l'armonia in maniera irreparabile hanno sui suoi abitanti e sullo spettatore.
Haneke pone molte domande nel corso del film, ma non dà nessuna risposta. Girato interamente in freddo e simbolico bianco e nero, Das weisse Band lascia lo spettatore con molti dubbi: dubbi su quello che è accaduto effettivamente nel villaggio, su chi ha fatto cosa, su chi è colpevole di quale nefandezza. Come se non bastasse, ci lascia anche incerti su quello che questa storia rappresenta: una descrizione delle origini del fascismo e del nazismo, l'eterna ricerca dell'equilibrio tra libertà personali e sicurezza, la linea che divide colpa e punizione.

Haneke non fa nulla per farci arrivare facilmente alla fine delle due ore e 20 minuti di durata del film, ma la ricompensa è un film girato splendidamente carico di significanti e significati.

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