Nel 2003 ci hanno riempito la testa con la storia delle "armi di distruzione di massa", la scusa usata da Stati Uniti e Regno Unito per invadere l'Iraq e liberare il popolo iracheno dalla tirannia di Saddam Hussein. O almeno è quello che hanno voluto farci credere.
Green Zone di Peter Greengrass, quello degli ultimi due Bourne, ci porta a Baghdad poco dopo la caduta di Saddam e con le forze americane impegnate nella disperata ricerca di quelle fantomatiche armi che avrebbero permesso all'amministrazione Bush di salvare la faccia e la decenza davanti alle Nazioni Unite e al resto del mondo. Matt Damon è Miller, un marine a capo di una delle squadre impegnate in questa caccia alle streghe che, dopo l'ennesimo viaggio a vuoto in una zona pericolosa di Baghdad in cui di armi di distruzione di massa non ce n'è nemmeno l'ombra, scopre piano piano che i giochi di potere dietro le quinte sono molto più complessi di quanto avesse mai potuto sospettare.
Green Zone non è brutto film, ma sa tanto di "compitino": è ben girato, soprattutto nelle scene d'azione, e ha un cast di buon livello che fa il suo dovere, però non riesce a coinvolgere più di tanto. Sarà forse per colpa dei personaggi scontati e tratteggiati con l'accetta o la storia che sì, è anche interessante, ma alla fine non riserva particolari sorprese, probabilmente anche a causa di una certa semplicità di fondo di tutto l'intreccio narrativo. Nonostante l'argomento trattato sia politicamente molto rilevante, forse Green Zone arriva troppo tardi per sfruttare adeguatamente l'onda emotiva che accompagnò quegli eventi e si riduce a essere un discreto film d'azione e un mediocre thriller politico che non ha il mordente necessario per lasciare il segno.
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