Alien: Resurrection a parte, di cui non ho un gran ricordo, fatta eccezione per Wynona Rider, i film di Jean-Pierre Jeunet hanno in comune un'estetica e uno stile particolari e il suo lavoro più recente, Micmacs, non fa eccezione. E così ritroviamo i soliti personaggi bizzarri, con le loro manie e le loro fissazioni; sono persone che faticano, per un motivo o per l'altro, a integrarsi nel mondo della gente "normale", che vivono quasi invisibili ai margini della società, attirati tra di loro come da un'affinità elettiva.
Il gruppo di cui finisce per far parte Bazil, il protagonista di Micmacs, è appunto un gruppo eterogeneo di fenomeni da baraccone, una famiglia atipica che funziona nonostante le sue stranezze. Bazil è a sua volta piuttosto particolare, dopo un'infanzia segnata dalla morte sul lavoro del padre artificiere, la conseguente pazzia della madre e un collegio da cui fugge con un semplice trucco. 30 anni dopo Bazil ha ancora un incontro poco piacevole con le armi, stavolta con un proiettile vagante che si va a conficcare nel suo cervello, senza ucciderlo, ma tenendolo costantemente a rischio di attacchi simil-epilettici e, tanto per gradire, un colpo fulminante.
La storia di Micmacs, la lotta di Bazil contro le due multinazionali che hanno prodotto la mina che ha ucciso suo padre e il proiettile che riposa nella sua testa, è semplice semplice, senza particolari sorprese o colpi di scena. Il valore di Micmacs risiede nell'immaginazione del suo regista, che riesce ad arricchirlo di piccole, grandi trovate narrative e visive che tengono in piedi il film. A me è piaciuto, ma Micmacs non ha la forza di coinvolgere emotivamente come Amélie e se non si gradisce lo stile di Jeunet, forse è meglio lasciar perdere.
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