Film giapponese del 2008, 130 minuti di durata, vincitore del premio Oscar come miglior film straniero nel 2009, il protagonista è un violoncellista fallito che torna nella sua cittadina natale e comincia a lavorare per una ditta specializzata nella preparazione rituale dei cadaveri prima della loro cremazione.
A leggere queste informazioni, verrebbe da pensare che Departures sia un mattone indicibile, e invece è un film drammatico che non lesina sull'umorismo un po' macabro e sul melenso. Lo svolgimento del film è tutto sommato prevedibile, ma la cosa non infastidisce perché la fotografia e la regia sono perfette e i quattro personaggi principali sono interpretati ottimamente dai loro rispettivi attori, con la parziale eccezione della moglie del protagonista Daigo, così insopportabilmente giapponese in alcuni momenti che verrebbe voglia di prenderla a ceffoni.
Il rito della preparazione dei cadaveri è riprodotto con una attenzione e un rispetto per quello che rappresenta palpabili e le scene che ce lo mostrano sono probabilmente i momenti migliori del film, grazie anche ai silenzi che esprimono così bene le psicologie di Daigo e del suo capo, un uomo di poche, ma sagge parole. L'ottima colonna sonora si sposa egregiamente con le immagini, anche se talvolta cerca con un po' troppa insistenza di farti commuovere, come se vedere un marito affranto per la perdita della moglie non sia abbastanza triste di per sé.
È negli ultimi 10 minuti che Departures prende una piega davvero troppo prevedibile ed eccede nel buonismo, e confesso che alla fine del film ho avuto la sensazione che l'Oscar fosse un po' troppo, ma rimane comunque il fatto che Departures è un film che, nonostante l'argomento tutt'altro che allegro, scalda il cuore perché è una delicata celebrazione della vita e un'accettazione dell'ineluttabilità della morte.
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