La famiglia Recchi, come entità unica, è la protagonista perfetta di Io sono l'amore: ricca sfondata, snob, elegante, melodrammatica. E così è il film di Luca Guadagnino, che racconta le vicende di questa famiglia dell'alta borghesia milanese proprietaria di una affermata ditta del settore tessile. Il film inizia con una cena per festeggiare compleanno del nonno, patriarca che ha fondato la fabbrica che ha fatto la fortuna della famiglia e che ha deciso che è giunto il momento di passare il testimone a suo figlio Tancredi e al nipote Edoardo. Questa scelta sarà l'inizio di una serie di eventi che stravolgerà per sempre la vita dell'intera famiglia.
Come scritto poco sopra, "Io sono l'amore" è un film snob e altero che racconta una storia che, a voler essere cattivi, è poco più di un melodrammone da soap opera pomeridiana, ma lo fa con un'eleganza e una cura per l'immagine che fanno soprassedere sui limiti della trama. Anche il cast è in gran forma, con una Tilda Swinton, che parla un "perfetto" italiano con accento russo, nel ruolo della madre della famiglia bravissima come al solito. E poi c'è la colonna sonora, invadente, ma anche splendidamente in sintonia con il film.
"Io sono l'amore" è un film esteticamente e stilisticamente meraviglioso. Non mi ha coinvolto molto emotivamente, e qui forse è colpa mia e del mio cuore di pietra, ma è stato comunque un gran piacere da guardare. Di film girati così bene non ce ne saranno mai abbastanza.
Appunti sparsi su cinema, libri, musica, videogiochi e quant'altro mi passa per la testa
31 gennaio 2011
22 gennaio 2011
La speranza è l'ultima a morire
Tra le serie televisive che seguo regolarmente c'è anche How I Met Your Mother, però ultimamente (diciamo da tre stagioni a questa parte), mi chiedo perché continui a farlo. La qualità di questo telefilm è crollata e, anche se sembrava che le cose fossero migliorate leggermente nella serie attualmente in corso, gli ultimi episodi sono tornati al pessimo livello a cui mi sono abituato. Ed è per questo che, appunto, mi chiedo per quale recondito motivo spenda 20 e rotti minuti una volta alla settimana per guardare qualcosa che sono quasi sicuro che mi deluderà.
Non sono affetto da qualche disturbo ossessivo-compulsivo che mi spinge a guardare fino alla fine tutte le serie televisive che comincio... o almeno non penso. Del resto, di telefilm che ho mollato ce n'è per così: per esempio Heroes (alla prima puntata della seconda serie), Breaking Bad (che nonostante gli ottimi commenti letti in giro, non mi ha spinto ad andare oltre la prima serie), The Sarah Connor Chronicles (abbandonata causa sopraggiunta noia a circa metà della seconda e ultima serie).
E allora perché non stacco la spina anche dalle macchine che tengono in vita artificialmente il mio interesse, ridotto ormai al lumicino, per How I Met Your Mother? A differenza dei tre telefilm nominati poco sopra che non hanno mai raggiunto livelli di eccellenza, le prime tre serie di How I Met Your Mother sono spettacolari. Ce le ho ancora a casa nei cofanetti di DVD e ricordo che guardai i circa 66 episodi in pochi giorni. Ed è per questo che probabilmente continuo a guardare le nuove puntate, con l'inconscia speranza che quella nuova sia quella che finalmente riporta la serie agli ottimi livelli delle prime tre serie. Ci sono stati episodi divertenti negli ultimi tre anni, ci mancherebbe, ma sono sempre stati casi isolati, sprazzi di ispirazione del passato che non duravano mai più di una puntata, magari due di seguito quando andava bene.
Forse dovrei mettermi l'anima in pace e smettere di guardarla, ma ormai siamo oltre la metà di questa serie, non mi costa niente arrivare alla fine. Finirò per ripromettermi ancora una volta che questa è l'ultima serie che guarderò, per poi ricominciare a seguirla a settembre. E poi che cribbio, voglio sapere chi è la mamma.
Non sono affetto da qualche disturbo ossessivo-compulsivo che mi spinge a guardare fino alla fine tutte le serie televisive che comincio... o almeno non penso. Del resto, di telefilm che ho mollato ce n'è per così: per esempio Heroes (alla prima puntata della seconda serie), Breaking Bad (che nonostante gli ottimi commenti letti in giro, non mi ha spinto ad andare oltre la prima serie), The Sarah Connor Chronicles (abbandonata causa sopraggiunta noia a circa metà della seconda e ultima serie).
E allora perché non stacco la spina anche dalle macchine che tengono in vita artificialmente il mio interesse, ridotto ormai al lumicino, per How I Met Your Mother? A differenza dei tre telefilm nominati poco sopra che non hanno mai raggiunto livelli di eccellenza, le prime tre serie di How I Met Your Mother sono spettacolari. Ce le ho ancora a casa nei cofanetti di DVD e ricordo che guardai i circa 66 episodi in pochi giorni. Ed è per questo che probabilmente continuo a guardare le nuove puntate, con l'inconscia speranza che quella nuova sia quella che finalmente riporta la serie agli ottimi livelli delle prime tre serie. Ci sono stati episodi divertenti negli ultimi tre anni, ci mancherebbe, ma sono sempre stati casi isolati, sprazzi di ispirazione del passato che non duravano mai più di una puntata, magari due di seguito quando andava bene.
Forse dovrei mettermi l'anima in pace e smettere di guardarla, ma ormai siamo oltre la metà di questa serie, non mi costa niente arrivare alla fine. Finirò per ripromettermi ancora una volta che questa è l'ultima serie che guarderò, per poi ricominciare a seguirla a settembre. E poi che cribbio, voglio sapere chi è la mamma.
13 gennaio 2011
In The Loop
Le decisioni prese dai potenti, dai politici eletti democraticamente spesso ci fanno incazzare come delle iene, e il più delle volte non sappiamo a come sono arrivati a quella decisione. Ignoriamo i giochi di potere che avvengono dietro le quinte, gli scambi, le trattative, i compromessi, le promesse che i vari protagonisti si scambiano per ottenere quello che vogliono o, per lo meno, limitare i danni. Il che è un bene, mi verrebbe quasi da pensare.
In The Loop è una commedia satirica che mostra quello che accade dietro le quinte mentre la Gran Bretagna e gli Stati Uniti stanno cercando di convincere il resto del mondo che è il caso di dichiarare guerra (non è specificato a chi, ma il riferimento alla guerra contro l'Irak è piuttosto chiaro). Ovviamente non tutti sono d'accordo da entrambi i lati dell'Atlantico e nel mezzo ci finisce Simon Foster, il non proprio sveglissimo ministro dello sviluppo straniero (o qualcosa del genere) che, a causa delle sue inopportune dichiarazioni, si ritrova conteso tra i guerrafondai e i pacifisti.
I dialoghi e le situazioni fanno ridere, di gusto, ma lasciano anche l'amaro in bocca perché lasciano il dubbio su quanto somiglino alla realtà. Poi ci sono un mucchio di attori tanto bravi sui quali svetta Peter Capaldi nel ruolo dello sboccatissimo spin doctor del governo inglese. Girato con uno stile da finto documentario, con inquadrature deliberatamente scomposte, l'impressione è quella di essere una mosca che osserva indisturbata l'indegno spettacolo politico. E viene da chiedersi se la dichiarazione di guerra all'Irak sia stata risolta in un modo tanto pietoso e grottesco.
In The Loop è una commedia satirica che mostra quello che accade dietro le quinte mentre la Gran Bretagna e gli Stati Uniti stanno cercando di convincere il resto del mondo che è il caso di dichiarare guerra (non è specificato a chi, ma il riferimento alla guerra contro l'Irak è piuttosto chiaro). Ovviamente non tutti sono d'accordo da entrambi i lati dell'Atlantico e nel mezzo ci finisce Simon Foster, il non proprio sveglissimo ministro dello sviluppo straniero (o qualcosa del genere) che, a causa delle sue inopportune dichiarazioni, si ritrova conteso tra i guerrafondai e i pacifisti.
I dialoghi e le situazioni fanno ridere, di gusto, ma lasciano anche l'amaro in bocca perché lasciano il dubbio su quanto somiglino alla realtà. Poi ci sono un mucchio di attori tanto bravi sui quali svetta Peter Capaldi nel ruolo dello sboccatissimo spin doctor del governo inglese. Girato con uno stile da finto documentario, con inquadrature deliberatamente scomposte, l'impressione è quella di essere una mosca che osserva indisturbata l'indegno spettacolo politico. E viene da chiedersi se la dichiarazione di guerra all'Irak sia stata risolta in un modo tanto pietoso e grottesco.
10 gennaio 2011
Catfish
La prima regola di Catfish è non parlare di Catfish. Meno si sa di questo documentario quando si comincia a guardarlo e meglio è. Non che sia un giallo complicatissimo con colpi di scena che si susseguono per tutta la sua durata, ma riesce comunque a sorprendere e coinvolgere. E l'assassino non è il pesce gatto.
Senza rivelare troppo, Catfish è un documentario realizzato da Henry Joost e Ariel Schulman che ha come protagonista il fratello di quest'ultimo, Yaniv, in una relazione interpersonale nata e cresciuta nell'era di Facebook e del GPS.
È un documentario intelligente e girato con notevole talento. Certo, si potrebbe discutere all'infinito su alcuni suoi aspetti (usate i commenti, se volete farlo, senza paura degli spoiler, mentre chi non lo ha ancora visto se ne tenga alla larga), ma è decisamente un film moderno in tutti i sensi del termine, sia per l'argomento che per la sua realizzazione, stimolante e interessante proprio per quegli aspetti che lo rendono "controverso" (le virgolette sono usate apposta).
Nota di colore: qui a Londra il film è uscito quasi contemporaneamente nei cinema e in DVD.
Senza rivelare troppo, Catfish è un documentario realizzato da Henry Joost e Ariel Schulman che ha come protagonista il fratello di quest'ultimo, Yaniv, in una relazione interpersonale nata e cresciuta nell'era di Facebook e del GPS.
È un documentario intelligente e girato con notevole talento. Certo, si potrebbe discutere all'infinito su alcuni suoi aspetti (usate i commenti, se volete farlo, senza paura degli spoiler, mentre chi non lo ha ancora visto se ne tenga alla larga), ma è decisamente un film moderno in tutti i sensi del termine, sia per l'argomento che per la sua realizzazione, stimolante e interessante proprio per quegli aspetti che lo rendono "controverso" (le virgolette sono usate apposta).
Nota di colore: qui a Londra il film è uscito quasi contemporaneamente nei cinema e in DVD.
7 gennaio 2011
Dogtooth (Kynodontas)
Vi capita mai di finire di guardare film e di non essere del tutto sicuri del perché un film vi sia piaciuto o vi abbia fatto schifo? Ecco, a me è successo con Dogtooth (Kynodontas), film greco del 2009 che ha vinto una quantità di premi a vari festival cinematografici sparsi per il globo. Ed è facile capire perché li abbia vinti: Dogtooth è originale, strano, inquietante, bizzarro, grottesco, comico, drammatico, girato con gusto e abilità. Però è anche un film difficile da guardare, uno di quelli per cui immagino sia difficile avere un giudizio neutrale, o lo si odia o lo si ama.
Ma di che parla Dogtooth? È la storia di una famiglia che vive in una casa con un bel giardino, una piscina e una recinzione alta che impedisce la vista a chi sta fuori così come a chi sta dentro. La famiglia è composta da padre, madre, un figlio e due figlie, e il padre è l'unico che lascia la casa per andare a lavorare mentre gli altri non hanno nessun contatto con il mondo esterno, a parte le visite occasionali di Christina, una ragazza pagata dal padre per soddisfare i bisogni sessuali del figlio. I genitori sono anche l'unica fonte di istruzione per i figli, che ascoltano cassette registrate che insegnano loro il significato delle parole nuove, con la particolarità che questi significati sono modificati dai genitori. E così gli "zombie" diventano un tipo di fiorellini gialli, mentre il "mare" è una poltrona di pelle che si trova in salotto. Le motivazioni dietro il comportamento psicopatologico dei genitori, e in particolare del padre, non sono mai spiegate chiaramente, si intuiscono soltanto, e questa incertezza contribuisce al senso di disagio creato nello spettatore. Tutti gli aspetti di una normale vita familiare sono deformati, persino l'incesto non sembra fuori posto in quella casa.
Sia chiaro, a me Dogtooth è piaciuto, però non è uno di quei film piacevoli da guardare, tutt'altro. Essere testimoni dei meccanismi che regolano la quotidianità dei membri della famiglia, dei quali non conosciamo nemmeno i nomi, è faticoso e inquietante, ma è anche appassionante in maniera perversa, un po' come lo è soffermarsi a guardare un incidente stradale.
A margine, pensavo che solo i sud-coreani e i giapponesi riuscissero a fare film da fuori di testa completi, ma vedo che anche i greci sono messi bene.
Ma di che parla Dogtooth? È la storia di una famiglia che vive in una casa con un bel giardino, una piscina e una recinzione alta che impedisce la vista a chi sta fuori così come a chi sta dentro. La famiglia è composta da padre, madre, un figlio e due figlie, e il padre è l'unico che lascia la casa per andare a lavorare mentre gli altri non hanno nessun contatto con il mondo esterno, a parte le visite occasionali di Christina, una ragazza pagata dal padre per soddisfare i bisogni sessuali del figlio. I genitori sono anche l'unica fonte di istruzione per i figli, che ascoltano cassette registrate che insegnano loro il significato delle parole nuove, con la particolarità che questi significati sono modificati dai genitori. E così gli "zombie" diventano un tipo di fiorellini gialli, mentre il "mare" è una poltrona di pelle che si trova in salotto. Le motivazioni dietro il comportamento psicopatologico dei genitori, e in particolare del padre, non sono mai spiegate chiaramente, si intuiscono soltanto, e questa incertezza contribuisce al senso di disagio creato nello spettatore. Tutti gli aspetti di una normale vita familiare sono deformati, persino l'incesto non sembra fuori posto in quella casa.
Sia chiaro, a me Dogtooth è piaciuto, però non è uno di quei film piacevoli da guardare, tutt'altro. Essere testimoni dei meccanismi che regolano la quotidianità dei membri della famiglia, dei quali non conosciamo nemmeno i nomi, è faticoso e inquietante, ma è anche appassionante in maniera perversa, un po' come lo è soffermarsi a guardare un incidente stradale.
A margine, pensavo che solo i sud-coreani e i giapponesi riuscissero a fare film da fuori di testa completi, ma vedo che anche i greci sono messi bene.
3 gennaio 2011
Les 7 jours du talion
Il taglione, quella legge che nell'antichità prevedeva che il colpevole di un crimine fosse punito con lo stesso danno inflitto alla vittima. Occhio per occhio, dente per dente, in pratica.
In Les 7 jours du talion, film canadese diretto dall'esordiente Daniel Grou, i sette giorni del taglione del titolo sono quelli che il protagonista Bruno Hamel passa in compagnia dell'assassino e stupratore di sua figlia undicenne, dopo averlo rapito quando era già stato arrestato dalla polizia. E sì, è la classica storia già sentita di un padre che si trasforma in giustiziere, convinto che la punizione che il maniaco riceverà dalla corte non sarà sufficiente e che vendicarsi con le proprie mani gli farà superare il dolore causato dalla morte violenta della figlia. È per questo che Hamel decide di torturare per una settimana l'assassino, in una baita lontana da occhi indiscreti, mentre la polizia è sulle sue tracce per bloccarlo.
Les 7 jours du talion è un film lento, ma inesorabile. Mentre lo guardavo ero convinto di averne visto sì e no un'ora scarsa e invece, quando ho guardato l'ora, mi sono accorto che ero quasi alla fine dell'ora e 50 di durata. Sembra non finire mai e l'argomento e le scene violente ne appesantiscono lo svolgimento, ma cattura e coinvolge. Il merito è sicuramente della regia e della sceneggiatura, entrambe solide e mature, ma anche delle interpretazioni degli attori, tutte di altissima qualità. Non è decisamente il film ideale per una serata spensierata da passare in dolce compagnia e l'argomento e le scene vuolente potrebbero risultare sgradite ai più sensibili, ma dà al genere del torture porn una maggiore e gradita nuova dimensione.
In Les 7 jours du talion, film canadese diretto dall'esordiente Daniel Grou, i sette giorni del taglione del titolo sono quelli che il protagonista Bruno Hamel passa in compagnia dell'assassino e stupratore di sua figlia undicenne, dopo averlo rapito quando era già stato arrestato dalla polizia. E sì, è la classica storia già sentita di un padre che si trasforma in giustiziere, convinto che la punizione che il maniaco riceverà dalla corte non sarà sufficiente e che vendicarsi con le proprie mani gli farà superare il dolore causato dalla morte violenta della figlia. È per questo che Hamel decide di torturare per una settimana l'assassino, in una baita lontana da occhi indiscreti, mentre la polizia è sulle sue tracce per bloccarlo.
Les 7 jours du talion è un film lento, ma inesorabile. Mentre lo guardavo ero convinto di averne visto sì e no un'ora scarsa e invece, quando ho guardato l'ora, mi sono accorto che ero quasi alla fine dell'ora e 50 di durata. Sembra non finire mai e l'argomento e le scene violente ne appesantiscono lo svolgimento, ma cattura e coinvolge. Il merito è sicuramente della regia e della sceneggiatura, entrambe solide e mature, ma anche delle interpretazioni degli attori, tutte di altissima qualità. Non è decisamente il film ideale per una serata spensierata da passare in dolce compagnia e l'argomento e le scene vuolente potrebbero risultare sgradite ai più sensibili, ma dà al genere del torture porn una maggiore e gradita nuova dimensione.
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