Primo post da mesi a questa parte e ultimo post del 2012.
Ci è voluto un documentario come Indie Game: The Movie per farmi tornare voglia di scrivere sul blog, dopo mesi in cui ho visto pochi film che, sebbene mi siano piaciuti, non mi hanno spinto a tornare da queste parti. E non è un caso che sia stato proprio Indie Game a ispirarmi per un nuovo post, perché parla di videogiochi e di persone che inseguono i propri sogni e le proprie passioni, sacrificando tantissimo in termini di affetti e salute mentale e fisica. Erano mesi che avevo il file sul mio NAS, regolarmente comprato sul sito ufficiale del film non mi ricordo nemmeno più quando, ed è stato un film assai natalizio per molti versi.
Indie Game segue lo sviluppo di due giochi che gli appassionati conoscono sicuramente, Super Meat Boy e Fez. Il primo è un platform difficilissimo e crudelissimo che nel 2010 è stato uno dei giochi migliori usciti su Xbox 360 (c'è anche su PC) e che a oggi ha venduto più di un milione di copie, mentre il secondo è la creatura di Phil Fish, un gioco di piattaforme ed enigmi che ha impegnato il suo creatore per oltre quattro anni, riscritto quasi interamente da capo almeno tre volte nel corso del suo sviluppo . A fare da contorno alle interviste ai ragazzi che lavorano a questi due giochi ci sono gli interventi di Jonathan Blow che ci racconta la genesi e il suo rapporto con il mai troppo lodato Braid (e di cui trovate una mia recensione qui).
Indie Game ci racconta cosa sono i giochi indie attraverso le parole di quattro persone che li fanno per lavoro e passione, prodotti su cui lavora un gruppo talvolta formato addirittura da non più di uno o due persone e libero dai limiti creativi e gli obblighi commerciali imposti dai grandi publisher (come Activision ed Electronic Arts, per fare due nomi d'esempio). Un gioco indie è un lavoro personale, la forma di espressione scelta dagli autori per comunicare con il resto del mondo perché talvolta le parole sono inadeguate o sono difficili da usare. Come ci dice Blow, è un lavoro imperfetto per propria natura d'essere, perché non deve e non può sottostare alle leggi di mercato, e sono proprio quelle imperfezioni che catturano la nostra attenzione, esattamente come sono le imperfezioni delle persone che ci attirano (volenti o nolenti).
Indie Game è anche la storia dello sviluppo e del lancio di tre dei giochi indie più famosi degli ultimi anni (Braid, Super Meat Boy e Fez appunto), e di quello che i loro autori hanno passato per coronare il loro sogno. Perché mentre per tanti un lavoro è solo un modo come un altro per portare a casa i soldi necessari per vivere e divertirsi, nel caso di Jonathan Blow, Edmund McMillen, Tommy Refenes e Phil Fish fare videogiochi è una passione e, per assurdo, vendere e fare soldi non è la prima voce in cima alla lista di obiettivi da completare.
Indie Game è documentario bellissimo, toccante e appassionante per tutti coloro che, come me, sono cresciuti con i videogiochi come un elemento integrante della propria infanzia e adolescenza. La mia è la generazione che ha visto il videogioco nascere e crescere e guardare un film che racconta così bene la nostra passione è toccante, così come lo è vedere l'intensità delle emozioni vissute delle persone protagoniste di questo documentario. Non va dimenticato che per ogni Braid che ha successo e cambia la vita (in positivo) del proprio autore, ci sono tantissimi altri giochi indie che "non ce la fanno", tante storie di sviluppatori che non arrivano a vedere la coronazione del proprio sogno. Forse non sarà altrettanto godibile per chi di videogiochi non sa o non vuole sapere niente, ma Indie Game: The Movie è una delle cose più piacevoli con cui ho avuto a che fare quest'anno.
Un blog delu[XE]
Appunti sparsi su cinema, libri, musica, videogiochi e quant'altro mi passa per la testa
30 dicembre 2012
19 settembre 2012
Arriva IGN
Dopo settimane di lavoro febbrile dietro le quinte (soprattutto da parte dei colleghi), ieri è andato finalmente online IGN Italia, l'edizione italiana del sito di videogiochi (e non solo) famoso in tutto il mondo e che può vantare di avere tra i membri dello staff anche me medesimo nel ruolo di collaboratore.
È una cosa bella ed emozionante e fare parte di un progetto sin dal suo inizio ha un valore particolare, come lo ha avuto e ha ancora il mio ruolo su Outcast. Nonostante sia appena nato, il sito ha già molte notizie e articoli, tra cui la mia recensione di Mark of the Ninja (è bello, compratelo). I contenuti saranno in gran parte scritti da noi dello staff e ci sarà anche qualcosa di tradotto dall'inglese, perché sarebbe stupido non approfittare del materiale americano.
Anche se IGN Italia è curato da tanta della gente di Outcast, quest'ultimo continuerà ad andare avanti sulle proprie gambe. Quindi, seguiteci sia di là che di qua, non ve ne pentirete.
16 agosto 2012
Brave
Quando uscì Cars 2, molti dei commenti sottolinearono come quel film, molto criticato da più parti, era sembrato un modo facile di fare soldi col merchandising per finanziare progetti più sperimentali e avventurosi. Tra quei progetti fu incluso Ribelle - The Brave, appena uscito nelle sale inglesi e previsto per il 5 settembre in Italia, visto al tempo come un film coraggioso e diverso dal solito. Chissà se gli autori di quei commenti la pensano alla stesso modo dopo aver visto il nuovo lavoro della Pixar, perché a me è sembrato un film molto tradizionale.
La protagonista di Brave è Merida, la principessa figlia dei regnanti di Scozia durante un non meglio precisato periodo storico (azzerderei qualcosa intorno al XII o XIII secolo D.C.). La ragazza è un maschiaccio e non gradisce per niente gli obblighi che la sua posizione prevede. La madre in particolare l'ha cresciuta in previsione del giorno in cui dovrà sposare uno degli eredi degli altri clan per perpetuare la tradizione e la vita del regno. Quando quel giorno finalmente arriva, Merida si ribella a sua madre e al suo destino e, con l'aiuto di una strega, prende in mano la sua vita. O almeno così pensa inizialmente, perché le cose ovviamente non vanno lisce come la ragazza sperava e pensava.
La trama di Brave è molto classica e narra la solita storia di una ragazza che non si accontenta di essere solo una bella principessa, ma che vuole essere anche artefice del proprio destino e delle proprie decisioni. È realizzato in maniera splendida, con animazioni come al solito bellissime e una protagonista carismatica e di carattere (e con una chioma rossa che mi ha catturato lo sguardo per i primi minuti di proiezione). Mi è sembrato molto più tradizionale di molte altre pellicole Pixar e con uno svolgimento tutto sommato prevedibile. Ci sono i soliti genitori duri, ma comprensivi, i fratellini che fanno da valvola di sfogo comica quando serve e tutto il cast di personaggi comprimari classici. Questo non vuol dire che il film non sia piacevole, con una buona, ma tutto sommato tranquilla prima ora e un'ultima mezzora molto divertente e appassionante, solo che forse Pixar ci ha abituati così bene che Brave, che è "solo" un buon film, sembra quasi deludente rispetto al passato. Il nuovo lavoro di Pixar è comunque 90 minuti di buon cinema che però difficilmente lasceranno un segno vicino a film come i vari Toy Story, Up e Wall-E.
Prima di Brave c'è stato il solito corto, intitolato La Luna stavolta. Breve, piacevole, con alcuni momenti davvero poetici e indovinati. Mi è piaciuto.
La protagonista di Brave è Merida, la principessa figlia dei regnanti di Scozia durante un non meglio precisato periodo storico (azzerderei qualcosa intorno al XII o XIII secolo D.C.). La ragazza è un maschiaccio e non gradisce per niente gli obblighi che la sua posizione prevede. La madre in particolare l'ha cresciuta in previsione del giorno in cui dovrà sposare uno degli eredi degli altri clan per perpetuare la tradizione e la vita del regno. Quando quel giorno finalmente arriva, Merida si ribella a sua madre e al suo destino e, con l'aiuto di una strega, prende in mano la sua vita. O almeno così pensa inizialmente, perché le cose ovviamente non vanno lisce come la ragazza sperava e pensava.
La trama di Brave è molto classica e narra la solita storia di una ragazza che non si accontenta di essere solo una bella principessa, ma che vuole essere anche artefice del proprio destino e delle proprie decisioni. È realizzato in maniera splendida, con animazioni come al solito bellissime e una protagonista carismatica e di carattere (e con una chioma rossa che mi ha catturato lo sguardo per i primi minuti di proiezione). Mi è sembrato molto più tradizionale di molte altre pellicole Pixar e con uno svolgimento tutto sommato prevedibile. Ci sono i soliti genitori duri, ma comprensivi, i fratellini che fanno da valvola di sfogo comica quando serve e tutto il cast di personaggi comprimari classici. Questo non vuol dire che il film non sia piacevole, con una buona, ma tutto sommato tranquilla prima ora e un'ultima mezzora molto divertente e appassionante, solo che forse Pixar ci ha abituati così bene che Brave, che è "solo" un buon film, sembra quasi deludente rispetto al passato. Il nuovo lavoro di Pixar è comunque 90 minuti di buon cinema che però difficilmente lasceranno un segno vicino a film come i vari Toy Story, Up e Wall-E.
Prima di Brave c'è stato il solito corto, intitolato La Luna stavolta. Breve, piacevole, con alcuni momenti davvero poetici e indovinati. Mi è piaciuto.
14 agosto 2012
The Girl with the Dragon Tattoo
Solita premessa doverosa: non ho letto i libri di Larsson e non ho visto il film originale svedese. Ok, titoli di testa.
Quello che in Italia si intitola Millennium - Uomini che odiano le donne è il rifacimento americano diretto da David Fincher dell'omonimo film svedese del 2009. Nel caso non lo sappiate ancora, narra le storie parallele di Mikael Blomkvist, un giornalista che si ritrova in difficoltà economica e progessionale dopo aver perso una causa per diffamazione, e Lisbeth Salander, una ragazza dal passato e dal presente complicati che ha un'abilità particolare per le indagini al limite e oltre la legalità. Le loro vicende s'incrociano brevemente all'inizio del film e poi si ritrovano a collaborare sul caso mai risolto della sparizione della rampolla di una facoltosa famiglia svedese, avvenuta a settembre del 1966.
La prima parte del film vede i due protagonisti percorrere un percorso separato e Fincher gestisce bene la differenza di tono tra la tranquilla e isolata isola su cui si trova Mikael e la oscura e violenta realtà urbana di Lisbeth, resa con mestiere visivamente e musicalmente grazie all'ottima colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross (autori anche di quella di The Social Network). Sono soprattutto le vicende di Lisbeth a colpire, con la loro violenza e loro situazioni ai limiti, e Fincher non si tira indietro quando si tratta di rappresentarle con il necessario realismo che però non scade mai nel voyerismo e nel cattivo gusto.
Quando finalmente Lisbeth e Mikael si ritrovano, comincia il vero lavoro di indagine e il film assume maggiormente i toni e i temi del thriller. Tutto procede perfettamente grazie all'ottima regia di Fincher e alla sua attenzione al ritmo narrativo, ma il film perde mordente proprio sul finale, quando i protagonisti arrivano a una resa dei conti che sembra spuntare quasi dal nulla. Come se non bastasse, dopo la conclusione del caso c'è un'ulteriore parte narrativa che sembra appicciccata un po' a forza al film e mal si amalgama con il resto della vicenda.
Nonostante una trama leggermente zoppicante nella parte finale, The Girl with the Dragon Tattoo è comunque un ottimo film che non annoia mai nonostante i 150 minuti abbondanti di durata, grazie anche alle ottime interpretazioni di Daniel Craig e soprattutto Rooney Mara, monumentale nel ruolo di Lisbeth. I problemi narrativi sono probabilmente da ricondurre al libro, ma Fincher ha diretto con il solito stile impeccabile e il risultato è un film che magari non aggiungerà nulla all'originale (che probabilmente recupererò presto), ma che è sicuramente godibilissimo e merita di essere visto.
21 luglio 2012
The Dark Knight Rises
Mentre in Italia dovrete aspettare fino a fine agosto per vedere "Il cavaliere oscuro - Il ritorno", il terzo capitolo della serie di film dedicati a Batman scritti e diretti da Christopher Nolan, qui a Londra è uscito ieri e io sono corso a vederlo al primo spettacolo disponibile nel cinema vicino casa. Precisazione doverosa: conosco Batman, mi piace come personaggio, ma non sono un appassionato del fumetto, quindi non posso fare paragoni tra questa versione del cavaliere oscuro e quella originale.
Lo dico subito: The Dark Knight Rises mi è piaciuto più di Batman Begins (che non mi aveva convinto molto), ma meno di The Dark Knight. Quest'ultimo è un film della madonna, mentre The Dark Knight Rises è "solo" un ottimo film. Del resto non è facile passare circa 160 minuti di durata senza aver voglia di guardare l'orologio nemmeno una volta, a dimostrazione che il nuovo film di Nolan ha un buon ritmo e riesce ad appassionare. Ma non è perfetto.
Bane è un buon cattivo, riesce a farsi odiare come ogni cattivo degno di questo nome dovrebbe fare, ma manca del carisma del Joker di Heath Ledger. Tom Hardy non riesce a essere altrettanto convincente, ma più per colpa della maschera indossata dal suo personaggio che per sua incapacità. O forse non ha avuto abbastanza fisicità per sopperire alle limitazione impostegli dalla maschera che, tra l'altro, rende incomprensibili alcuni passaggi di dialogo (pensavo che fosse colpa mia e del mio orecchio italiano, ma leggendo in giro anche i madrelingua hanno avuto difficoltà). Bane inoltre è un personaggio meno sfaccettato di Joker e rimane meno coinvolgente sotto il punto di vista emotivo (e quando Nolan prova a dargli una maggiore profondità, il risultato è da mani nei capelli). Anche il personaggio di Marion Cotillard sa un po' di posticcio e non riesce a inserirsi a dovere nel meccanismo narrativo (ed è anche al centro del MACCHECCAZZO più grosso del film). La trama inciampa pesantemente verso la fine, ma riesce a riprendersi in qualche modo e per il resto è raccontata bene e offre elementi nuovi e di interesse fino ai titoli di coda. Christian Bale si conferma una perfetta incarnazione di Bruce Wayne e Batman, combattuto, tormentato e vendicativo al punto giusto. Il resto del cast è all'altezza, con il bravo come al solito Joseph Gordon-Levitt bravissimo nei panni di John Blake e Anne Hathaway che, un po' a sorpresa, riesce a essere una Catwoman più che convincente.
Nolan è talvolta un regista un po' legnosetto, ma The Dark Knight Rises è un film sontuoso dal punto di vista estetico e con una colonna sonora meravigliosa (Hans Zimmer, mica pizza e fichi). È una degna conclusione di questa trilogia, anche se forse non riesce a soddisfare in pieno le probabilmente troppo alte aspettative e paga l'esistenza di un predecessore semplicemente meraviglioso (i.e. The Dark Knight). Rimane comunque un film godibilissimo e spettacolare, con 160 minuti di ottimo cinema che soddisfano l'occhio e stimolano il cervello con temi e situazioni appassionanti.
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